La meta del cambiamento… Un viaggio in 4 tappe - SECONDA TAPPA

Quattro incontri su alcune tematiche connesse alla trasformazione organizzativa


26 marzo - 4 luglio - 3 ottobre - 13 dicembre 2024

I quattro webinar, organizzati da Blulink srl, di cui BluPeak è partner, presentano la meta del cambiamento come una cima, impegnativa ma al contempo alla portata di tutti, da raggiungere con adeguati strumenti culturali, cognitivi e metodologici.



Dopo la prima tappa, curata da Stefano Setti, è la volta di Luca Costa, Business Transformation Expert del Team BluPeak, che ci accompagnerà nel “Campo 1” con un intervento dal titolo:

“Resistenza o Resilienza? Change readiness e aspetti culturali nella gestione del cambiamento”.

L’appuntamento è per giovedì 4 luglio 2024, online, dalle 11:30 alle 12:15.

Info e registrazione al sito di Blulink

I COSTI NASCOSTI

Scoprire e gestire i costi nascosti, liberare risorse finanziarie per potenziare il business


Primavera, stagione di rinascita, di allergie ma anche di scadenze fiscali. Cogliamo quindi l’occasione per una riflessione sui costi aziendali e sulla loro ottimizzazione, che consente di liberare risorse per potenziare le attività e guidare l’impresa verso un futuro di successo.

Ma quanto costa un’azienda?

Per ogni imprenditore, avere costantemente presente l’entità dei costi aziendali, saper valutare, gestire e migliorare le diverse attività che assorbono le risorse finanziarie dell’azienda è un compito fondamentale per garantire la sostenibilità economica dell’impresa e assicurarne la continuità e la crescita futura.

Quando si parla di costi aziendali, si è subito portati a pensare alle classiche categorie che vengono normalmente riportate nei testi di management aziendale: costi fissi, costi variabili, costi diretti e indiretti. Vi è però anche un’altra tipologia di costi, particolarmente insidiosa, che spesso viene a torto trascurata perché più difficile da contestualizzare, quella dei cosiddetti costi nascosti.

Si tratta di spese non evidenti, né facilmente individuabili nella gestione dell’organizzazione aziendale e che, accumulandosi nel tempo, appesantiscono il bilancio e minano la competitività dell’azienda senza che il management ne sia consapevole.

Taiichi Ōhno: chi era costui?

Ohno-Taiichi - Fonte: Wikipedia

Probabilmente questo nome non vi dirà nulla. Appartiene a un distinto signore nato in Cina nel 1912 e vissuto in Giappone, che è stato ingegnere di produzione alla Toyota e che è considerato tra i principali teorici della Lean Production.

Alla fine del secondo conflitto mondiale, due aspetti preoccupavano gli industriali giapponesi, impegnati anche loro nella ricostruzione post bellica: la mancanza di materie prime e la mancanza di spazio.

Si andarono perciò consolidando princìpi, metodi e tecniche per la gestione dei processi operativi basati sulla sistematica riduzione degli sprechi e sull’utilizzo ottimale delle risorse a disposizione.

L’obiettivo da raggiungere era fare sempre di più con sempre di meno:

  • meno tempo;

  • meno spazio;

  • meno sforzo;

  • meno macchine;

  • meno materiali.

Ciò non voleva dire tagliare indiscriminatamente i costi (come purtroppo avviene oggi in alcune realtà), ma andare a cercare le cause di spreco e ridurle al minimo o eliminarle.

A riguardo, Taiichi Ōhno, attraverso meticolose indagini basate sull’attenta osservazione dei processi e della loro organizzazione (“Vai in officina e osserva” era il suo motto), ha contribuito alla declinazione e all’applicazione dei principi di base della filosofia Lean:

  • Valore: il punto di partenza è sempre la definizione del valore secondo la prospettiva del cliente. Valore è solo ciò che il cliente è disposto a pagare, tutto il resto è spreco e va eliminato.

  • Mappatura: per eliminare gli sprechi occorre saperli misurare, mappare il flusso del valore, ovvero delineare tutte le attività in cui si articola il processo operativo, distinguendo tra quelle a valore aggiunto e quelle non a valore aggiunto, che possono rivelarsi dannose per l’organizzazione.

  • Flusso: è il processo di creazione del valore che è visto come un flusso, che deve scorrere in modo continuo, riducendo al minimo i tempi di attesa e di attraversamento (lead time) del materiale.

  • Produzione ‘tirata’: soddisfare il cliente significa produrre solo quello che vuole, solo quando lo vuole e solo quanto ne vuole La produzione è così ‘tirata’ dal cliente, anziché ‘spinta’ da chi produce.

  • Perfezione: è il punto di riferimento a cui si deve tendere attraverso il miglioramento continuo e progressivo dei processi (Kaizen) e la completa eliminazione degli sprechi.

Grazie a queste teorie e alle metodologie per applicarle, è possibile soddisfare clienti esigenti, gestire tecnologie complesse e garantire elevata flessibilità in tempi ridotti.

I sette Muda: mantra del buon imprenditore

Poster originale del film - Fonte: Wikipedia

Nel 1954 Akira Kurosawa realizzava la pellicola “I sette samurai”, ambientata nel Giappone del XVI secolo, che narra la storia di un gruppo di contadini che si affidano a sette Rōnin (Samurai) per difendersi dai soprusi e dai saccheggi di una banda di briganti.

Più o meno nello stesso periodo Taiichi Ōhno diffondeva la teoria dei sette sprechi (Muda in giapponese), anche questi dei “briganti” che saccheggiano le risorse dell’azienda.

Muda può essere considerato qualsiasi utilizzo di risorse che non aggiunge valore alle aspettative del cliente.

 

 



In particolare, secondo Ōhno, sette sono le tipologie di sprechi da individuare e combattere:

  • Sovrapproduzione: produrre più del necessario a coprire gli ordini pervenuti dai clienti;

  • Attese: perdere tempo nell’aspettare materiali o informazioni per realizzare la produzione;

  • Trasporto: trasferire materiali o semilavorati da un luogo a un altro, spesso lontani, per poter completare la realizzazione dei prodotti (in pratica avere una supply chain e un flusso logistico non ottimizzati);

  • Perdite di processo: inefficienze e sprechi di risorse dovuti alla gestione non ottimale di processi complessi;

  • Scorte: è una voce di costo, quella del magazzino, che può diventare critica sia per il cosiddetto eccesso di inventario (over stock), sia per l’impatto dell’obsolescenza dei prodotti o i danneggiamenti nella loro manipolazione;

  • Movimenti: avere postazioni di lavoro e layout non ottimizzati dal punto di vista dell’ergonomia e dei flussi può portare a maggiore tempo per fare le operazioni, rischio di errore, minore efficienza e ridotta qualità del lavoro;

  • Difetti: realizzare prodotti che non rispettano i requisiti di qualità e che hanno difetti che ne impediscono la vendita o, peggio, che costringono il cliente a dover restituire il prodotto acquistato per la sua riparazione o sostituzione.

È compito dell’imprenditore che gestisce l’azienda con lo spirito del “buon padre di famiglia” mettere in campo le energie necessarie per identificare queste falle nell’organizzazione e porvi rimedio.

Per la caccia ai Muda è importante il coinvolgimento dei vari livelli dell’organizzazione, fino agli operatori di linea, e l’ascolto dei loro suggerimenti, atteggiamento fondamentale anche per la motivazione delle risorse, altro aspetto positivo per il buon funzionamento dell’azienda.

Conclusioni: eliminiamo gli sprechi e trasformiamo positivamente il business aziendale

Eliminare gli sprechi, come detto, porta a migliorare le condizioni di lavoro, ma anche a liberare risorse finanziarie che possono essere reinvestite in azienda. Questo investimento diventa valore aggiunto se quanto economizzato viene utilizzato, ad esempio, per la modernizzazione di macchinari o il miglioramento delle postazioni di lavoro, ma anche per programmi di formazione e miglioramento delle competenze, al fine di valorizzare il capitale umano.




Foto di copertina: Gerd Altmann - Pixabay




Andrea Calisti

Business Transformation Expert

 

BLUPEAK - IL BUSINESS È CULTURA ORGANIZZATIVA

DUE STAGISTI IN BLUPEAK

Dal 19 marzo fino a metà giugno 2024, per un monte complessivo di 400 ore, Federico Corsini e Mattia Zini sono ‘ospiti’ di BluPeak per un tirocinio

Si tratta di due giovani del corso ‘Gestione digitale d’impresa’ dell’ITS Maker - Istituto Superiore di Meccanica, Meccatronica, Motoristica e Packaging dell’Emilia Romagna, durante il quale hanno affrontato con i docenti di BluPeak i moduli di Problem Solving, di tecniche di Project Management e gestione della commessa, e di Metodologia FMEA.

Sono entrambi estremamente vivaci e capaci, ciascuno con le proprie peculiarità: Mattia si definisce «una persona intellettualmente curiosa», con una grande passione per teatro e letteratura, cosa che gli ha permesso di sviluppare doti di empatia, nonché una notevole immaginazione; Federico, coinvolto in svariate attività di volontariato, ama il cinema, l’escursionismo e lo sci alpino.

Abbiamo stimolato in loro una serie di considerazioni per capire l’approccio di menti giovani all’universo del Project Management e del Problem Solving.

Naturalmente partiamo proprio dall’idea che Federico e Mattia avevano del ‘progetto’ prima di iniziare a esplorare il mondo del Project Management.

Mattia Zini

«Prima di approcciare al Project Management pensavo al progetto come una ‘nuova idea’», dice Mattia, «sviluppata da una o più persone nel processo di creazione di un prodotto o di un servizio nuovo, o anche nell’aggiornamento di uno esistente. Poi ho scoperto anche prospettive differenti: il progetto visto come un viaggio esplorativo ed educativo, e il suo significato etimologico, nonché l’uso di ogni singola parola impiegata all’interno di un progetto. Il termine stesso di progetto, nella sua accezione semantica, indica ‘gettare in avanti’; questo mi fa immaginare una startup di giovani, dove la nuova idea concepita viene metaforicamente lanciata sul mercato designato, insieme ai calcoli e agli eventuali prototipi, con lo scopo di soddisfare un bisogno del mercato, trasformando così la nuova ispirazione in qualcosa di concretamente vivo.»

Federico Corsini

Per Federico, invece, l’idea di progetto che aveva inizialmente era forse più intuitiva, «legata all’utilizzo comune del termine nei diversi contesti ordinari, come per esempio: ‘Quali sono i tuoi progetti per il futuro?’ o ‘Quali sono i progetti per l’estate?’. In entrambe le circostanze, si tratta principalmente di un’idea o di un proposito più o meno definito per raggiungere uno scopo prefissato. Questa concezione è legata al significato di “progetto” che ho appreso dopo l’esplorazione dei metodi di Project Management, anche se con qualche differenza: in un progetto ben strutturato, infatti, nulla dev’essere lasciato al caso. Per garantirne il successo, oltre a un’attenta pianificazione, è necessario definire il budget, il team, lo scopo da raggiungere e i limiti temporali.

L’etimologia del termine progetto, dal latino: [pro] avanti e [jacere] gettare, ci rimanda al significato di qualcosa che viene gettato davanti. A mio parere sottolinea l’importanza di una visione a lungo termine proiettata verso il futuro, che sprona a guardare avanti. I progetti, difatti, richiedono una precisa pianificazione e un attento studio delle implicazioni sia presenti che future.»

Ma come immaginano, ciascuno dei due, la fase iniziale della carriera di un giovane Project Manager?

Federico parla subito di «una sfida affascinante, ma al contempo impegnativa e complessa, ostacolata, ai primi passi, dalla gestione dell’ambiguità e dell’incertezza, soprattutto in contesti dove i progetti sono influenzati da molteplici variabili e cambiamenti improvvisi.» Ben ricordando quanto appreso, cita l’acronimo VUCA, che definisce il mondo d’oggi: Volatility, Uncertainty, Complexity, Ambiguity. Per stressare la mutabilità e l’incertezza, «un approccio più aggiornato del VUCA è stato presentato da Jamais Cascio: l'orizzonte BANI (Ndr: altro acronimo che sta per Brittle, Anxious, Nonlinear, Incomprehensible). Questo richiede una capacità di adattamento rapido e una notevole flessibilità mentale.

Un altro fattore importante è la necessità di possedere una vasta gamma di conoscenze e competenze. Secondo il Talent Triangle del PMI (Project Management Institute), un PM di successo deve essere esperto in tre dimensioni fondamentali: competenze tecniche di Project Management, leadership efficace e una visione strategica e di business. Integrare e bilanciare tali competenze può essere una sfida all’inizio della carriera, specialmente quando si affrontano situazioni complesse e diverse. Per concludere, queste competenze sono affinabili attraverso l’esperienza, quindi è importante per i giovani Project Manager impegnarsi nell’apprendimento continuo e nello sviluppo professionale. Be adaptive. Be agile in learning

Secondo il parere di Mattia, invece, le principali difficoltà che un giovane PM può incontrare all’inizio della carriera «includono innanzitutto la disciplina nell’uso delle parole: attribuire il significato, l’intenzione e il referente corretti. Ho idea che il pericolo maggiore per un giovane è quello di usare inconsciamente parole con il significato e l’intenzione giusti, ma sbagliando il referente, o viceversa. Di conseguenza, è importante anche saper formulare domande e fornire risposte corrette ed efficaci. Risulta fondamentale avere un proprio senso critico, ovvero saper riconoscere le differenze e ricavare informazioni utili, attribuendo il loro valore nell’ambito del progetto. Gli ambiti di business più favorevoli all’introduzione di questa disciplina, inoltre, sono a mio parere i settori tecnici e del software, dove si possono applicare metodi agili e interazioni rapide. Al contrario, gli ambiti in cui si riscontra maggiore difficoltà sono i settori della pubblicità e del marketing, che richiedono un alto grado di flessibilità e adattabilità.»

Foto di Gerd Altmann - Pixabay

Il lavoro in team è condizione imprescindibile per i progetti; vediamo come Mattia e Federico sono stati colpiti dalle dinamiche alla base del funzionamento degli individui in una squadra che deve raggiungere un obiettivo comune.

A Mattia piace fare un paragone molto ad hoc: «Ciò che mi colpisce è che c’è una somiglianza con la base del gioco di squadra come nel rugby: il capitano della squadra svolge un ruolo simile a quello del Project Manager. Supervisiona l’azione sul campo, prende decisioni tattiche e motiva i giocatori durante il gioco. Assicura che la strategia di gioco sia seguita e adattata in base alle circostanze, garantendo che tutti i componenti siano coinvolti e che l’obiettivo di segnare punti sia sempre presente. In sostanza, il capitano del rugby è il leader sul campo di gioco, che guida il suo team verso la vittoria attraverso coordinazione, comunicazione e leadership, appunto.»

Federico dà valore alla «comunicazione efficace e alla collaborazione tra i membri del team. In un contesto di progetto, è essenziale che ogni membro comprenda chiaramente il proprio ruolo e le proprie responsabilità, ma allo stesso tempo che sia in grado di lavorare in armonia con gli altri per raggiungere gli obiettivi comuni. Ho notato, però, che anche la diversità all’interno del team può essere una notevole risorsa da sfruttare. Ogni componente porta con sé un insieme unico di competenze, esperienze e prospettive, che possono arricchire il processo decisionale e portare a soluzioni più innovative. Infine, mi ha colpito l’importanza di avere un leader efficace all’interno del team. Un leader in grado di ispirare fiducia, guidare il team attraverso le sfide e mantenere alta la motivazione, infatti, può fare la differenza tra il successo e il fallimento di un progetto. I leader più efficaci sono quelli che dimostrano empatia, comunicano chiaramente le aspettative e sono in grado di adattarsi alle mutevoli esigenze del team e del progetto.»

Sempre sul tema del Project Management, scopriamo quali pensano possano essere i fattori che in un’organizzazione ne rendono più difficile l’introduzione.

«Sono molteplici», afferma Federico, aggiungendo subito che «la resistenza al cambiamento rappresenta uno dei principali ostacoli: i membri del team o gli stakeholder possono esitare nel modificare i processi esistenti, considerandoli ancora validi; tale resistenza può derivare dalla mancanza di comprensione dei benefici della gestione dei progetti. Inoltre, la paura di adottare nuove metodologie e processi può ostacolare l’implementazione delle pratiche di Project Management. È quindi essenziale comunicare in modo chiaro i vantaggi delle pratiche di Project Management e fornire una formazione adeguata a superare queste sfide.»

E Mattia: «Ciò che rende più difficile l’introduzione di pratiche di Project Management in un’organizzazione è l’ignoranza o la paura nei confronti di metodi organizzativi e modi di lavorare innovativi. Ignoranza e paura che, di conseguenza, rendono le persone restie ad adottare un approccio proattivo.»

Foto di Pete Linforth - Pixabay

Spostandoci poi sul Problem Solving, e partendo sempre dall’analisi etimologica, grazie alla quale scopriamo una somiglianza tra le parole ‘problema’ e ‘progetto’, proviamo a stimolare in Federico e Mattia le loro considerazioni a riguardo.

Mattia, grazie alle informazioni trovate ed elaborate, ci dice che «l’etimologia delle parole “problema” e “progetto” ci offre un’interessante connessione. Entrambe derivano dal greco antico e la loro origine comune può aiutarci a comprendere meglio il concetto di Problem Solving e come esso sia collegato al processo di progettazione. La parola “problema”, dal greco “próblēma” che significa “qualcosa posto davanti” o “impedimento”, indica una situazione o una questione che richiede una soluzione o una risposta. Immaginiamo di dover attraversare un fiume, ma c’è un grande masso nel mezzo. Il masso è il nostro “problema” da risolvere: come superarlo? Come raggiungere l’altra sponda?

La parola “progetto” ha una radice simile. Deriva dal greco “pro-ienai”, che significa “andare avanti” o “avanzare”. Un progetto è un piano o un insieme di azioni organizzate per raggiungere un obiettivo specifico.

Tornando all’esempio del fiume, il “progetto” potrebbe essere la costruzione di un ponte per superare il masso, cosa che richiede pianificazione, risorse e azioni coordinate.

Il Problem Solving quindi è il processo di risoluzione di un problema. Coinvolge l’analisi, la pianificazione e l’attuazione di soluzioni, ovvero una pro-azione. Quando affrontiamo un problema, dobbiamo progettare una strategia per superarlo. Questo è il collegamento tra le due parole: il Problem Solving rappresenta la costruzione del ponte tra il problema e la soluzione, utilizzando il processo di progettazione per guidarci.»

«I due termini, progetto e problema», per Federico, «riportano al concetto di cambiamento e opportunità in una prospettiva volta verso il futuro. Questo collegamento viene anche evidenziato da Juran nella definizione della parola ‘progetto’, descrivendola come un problema destinato a essere risolto (A project is a problem scheduled for solution). Tale concezione sottolinea una correlazione molto stretta, quasi intrinseca, tra le due parole: risolvere un problema, infatti, è spesso il punto di partenza da cui avviare un progetto, cioè trasformare una situazione di insoddisfazione in un miglioramento. La trasformazione da problema a progetto è quindi il mezzo che ci permette di raggiungere nuove opportunità ed evoluzioni.

Le due parole sono anche accomunate dall’iter necessario per risolvere un problema e realizzare un progetto, che è molto simile. Infatti, in entrambi i casi, sono richieste abilità di problem solving, pianificazione e adattabilità per procedere al meglio e trovare le soluzioni più adeguate al contesto in cui ci troviamo.»

Poiché l’iter di soluzione di un problema deve sempre partire dall’ammissione di avere un problema, e dalla sua descrizione condivisa, proviamo a capire insieme ai ragazzi quali sono per loro le fasi più importanti dell’impostazione iniziale della soluzione di un problema, da cui dipende il successo di ciascuno dei passi successivi, e che ruolo possono avere le parole e il linguaggio.

«I passaggi fondamentali per impostare la risoluzione di un problema», afferma Federico, «partono dal quantificare l’impatto del problema nella circostanza in cui ci troviamo (il costo finanziario, l’effetto sulla produttività, l’effetto sulla soddisfazione del cliente, ecc.). Successivamente, è fondamentale fornire una descrizione chiara e precisa del problema, includendo dove e quando si verifica, chi o cosa ne è influenzato, e qualsiasi altro dettaglio rilevante. Dopo aver definito il problema, il passo ulteriore è identificare la causa alla radice, che può richiedere un’analisi approfondita e l’uso di strumenti come il diagramma di Ishikawa o l’analisi delle 5 W (Who, What, When, Where, Why) per comprendere il motivo per cui il problema si è manifestato. In tutte le fasi di risoluzione di un problema, le parole e il linguaggio giocano un ruolo cruciale: un linguaggio chiaro e preciso può aiutare a definire il problema in modo efficace, comunicare le proprie idee agli altri, formulare ipotesi e presentare soluzioni. Infine, un buon uso del linguaggio può facilitare la collaborazione e la condivisione di idee, che sono la chiave per la risoluzione dei problemi.»

Per Mattia, in base a quanto recepito dai suoi studi, «le fasi chiave per impostare con successo la soluzione di un problema sono l’identificazione del problema, l’analisi approfondita e la definizione degli obiettivi. Il primo step è come fare una mappa del tesoro: devi sapere esattamente qual è il problema, lo metti a fuoco e, se necessario, condividi con le persone con cui lavori. Nella fase successiva si scava più a fondo per capire la causa del problema, e in tal caso il sistema delle 5 W è molto usato e utile. La definizione degli obiettivi è come tracciare la rotta su una mappa. Dove vuoi arrivare? Che cosa vuoi ottenere risolvendo questo problema? Impostare obiettivi chiari aiuta a mantenere la direzione. Di conseguenza credo che il linguaggio e le parole sono come il filo conduttore che tiene insieme tutte queste fasi. Usare un linguaggio chiaro e condiviso aiuta a comunicare il problema in modo comprensibile a tutti i membri del team. Le parole possono anche essere strumenti potenti per ispirare e motivare le persone durante il processo di risoluzione del problema, aiutandole a restare focalizzate e impegnate nel raggiungimento degli obiettivi prefissati. Inoltre, un buon uso del linguaggio può facilitare la collaborazione e lo scambio di idee tra i membri del team, portando a soluzioni più innovative e efficaci.»

Foto di tookapic - Pixabay

E nell’iter di soluzione di un problema, che peso ha il team? Se la letteratura ci ha regalato geni investigativi come Poirot, Maigret, la Signora in giallo, Sherlock Holmes, tutti ‘solitari’ o che al massimo si avvalgono con distacco e superiorità di qualche gregario, con un ruolo sussidiario e spesso finalizzato a far brillare ancor più la loro intelligenza superiore, non deducete che sarebbe meglio lavorare da soli, allora?

La risposta di Federico è che «lavorare in team offre diversi vantaggi nell’affrontare problemi complessi. Innanzitutto la presenza di molteplici prospettive permette di individuare il problema e trovare soluzioni più adatte al caso. Inoltre, un team consente di valutare i rischi e le opportunità in modo più completo, fornendo un quadro generale maggiormente dettagliato. Rispetto ai grandi detective solitari della letteratura, anche se dotati di talento e intuito straordinari, un team offre una gamma più ampia di risorse e competenze, agevolando l’identificazione, l’analisi e la risoluzione dei problemi in modo più efficiente.»

L’opinione di Mattia è che «lavorare in team è importante perché ogni membro può portare le proprie esperienze e conoscenze utili a trovare una soluzione al problema. Anche i grandi investigatori non riuscirebbero a trovare la soluzione da soli, ma hanno necessariamente bisogno della collaborazione di altre persone per raccogliere informazioni utili per ‘risolvere il caso’.»

Fra le più importanti metodologie del Problem Solving – almeno tra quelle che si muovono in modo convergente verso la soluzione – c’è la metodologia 8D, così chiamata perché assorbe 8 discipline, appunto. Come nei progetti, solo uno sguardo ampio e multidisciplinare può essere davvero efficace per ottenere la soluzione efficace. Verifichiamo quali ambiti del sapere umano e organizzativo sono, per Mattia e per Federico, coinvolti nella soluzione del problema, dove metodi tecnici e di misura sono combinati con i fattori emotivi e psicologici.

Senza dubbio, per Mattia «la gestione del team, quindi includere persone con competenze differenti e un leader che possa guidare il processo, è il primo ambito del sapere umano e organizzativo coinvolto nella soluzione di un problema con la metodologia 8D. Poi c’è l’analisi dei dati tecnici e di misura per identificare e analizzare il problema; i processi organizzativi dove si cerca di ottimizzare dei processi aziendali per prevenire eventuali problemi; infine, eseguire standard di qualità e saper attuare audit interni sono fondamentali per il controllo e il miglioramento continuo.»

Affinché si arrivi alla soluzione di un problema, Federico ritiene che serva la combinazione di diversi ambiti del sapere umano e organizzativo. «Questi includono l’ingegno e la creatività per generare nuove idee, le competenze tecniche e professionali per analizzare e vagliare le possibili soluzioni, e il talento nel coordinare e gestire le risorse disponibili. Inoltre, si adottano metodi e modelli che guidano il processo decisionale e consentono una valutazione razionale delle opzioni disponibili. Tale approccio, definito multidisciplinare, include anche fattori emotivi e psicologici, in quanto la comprensione delle motivazioni, delle preferenze e delle dinamiche interpersonali influisce notevolmente sull’efficacia delle soluzioni proposte e sulla loro accettazione da parte dei soggetti interessati. L’obiettivo finale è quindi sviluppare una strategia completa che bilanci le esigenze pratiche con le valutazioni umane e organizzative, per affrontare il problema in modo completo e soddisfacente.»

 

Complimenti, ragazzi, e in bocca al lupo!





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DA GUGLIELMO MARCONI A OGGI

Guglielmo Marconi, trasmissioni wireless e Intelligenza Artificiale: quando i cambiamenti sono disruptive


Quest’anno ricorre il 150° anniversario della nascita di Guglielmo Marconi e, vista la portata dei cambiamenti che con le sue ricerche e sperimentazioni ha introdotto nel settore e nell’industria delle telecomunicazioni, è doveroso rendergli omaggio e chiedersi quale possa essere oggi un cambiamento simile a quello provocato dalle sue scoperte.

Il genio autodidatta che ha rivoluzionato le comunicazioni 

Il 25 aprile di 150 anni fa (era il 1874) nasce a Bologna Guglielmo Marconi. Di padre italiano e madre irlandese, il ragazzo decide presto di interrompere gli studi e, trasferitosi a Pontecchio, nell’Appennino bolognese, presso la paterna Villa Griffone, nell’inverno 1894-1895 compie numerosi esperimenti sulle onde elettromagnetiche, perseguendo l’idea di utilizzarle come veicolo per realizzare comunicazioni a distanza senza l’uso di fili.

Villa Griffone - Foto di A. Calisti

Nella primavera del 1895 Marconi riesce a emettere un segnale che, partendo dalla villa, percorre due chilometri, supera la collina detta ‘dei Celestini’, e raggiunge un ricevitore in mezzo alla campagna.

Nasce così l’era delle comunicazioni wireless e, improvvisamente, non solo il telegrafo di Morse (brevettato cinquant’anni prima) ma anche il telefono (inventato da meno di 25 anni, nel 1871) sembrano diventare obsoleti. Quest’ultimo sopravviverà fino ad oggi, integrando però le tecnologie marconiane nella telefonia cellulare.

Il resto è storia piuttosto nota. Purtroppo, la giovane Italia dell’epoca non arrivò a percepire la portata della scoperta di Marconi, che sarà brevettata in Inghilterra, paese che rimarrà per diverso tempo il centro delle attività dello studioso e dove nel 1898 nascerà la Marconi’s wireless telegraph and signal Company, azienda che sarà per lo scienziato il principale mezzo di sviluppo della sua invenzione.

Tavolo di lavoro di Marconi - Villa Griffone

Foto di A. Calisti

Nel giro di pochi anni i segnali di Marconi superano l’Oceano Atlantico, collegando le coste dell’Inghilterra con quelle del Canada e accendono le luci del municipio di Sidney attraverso un comando che lo stesso Marconi aziona dal porto di Genova (era il 26 marzo 1930). Questi segnali, emessi dalle navi lungo le loro rotte, salveranno molte vite in mare (emblematico è il caso del Titanic, ma anche, in tempi più recenti, del transatlantico italiano Andrea Doria). Sulle onde di Marconi viaggeranno intorno al mondo voci, musica e messaggi (purtroppo non sempre lieti) attraverso la radiofonia e la televisione. Saranno possibili i collegamenti nei viaggi spaziali e nell’esplorazione del cosmo e, grazie alla radioastronomia, saranno studiate stelle lontane e l’universo remoto.


Villa Griffone e tomba di Marconi - Foto di A. Calisti

Marconi muore improvvisamente per una crisi cardiaca il 20 luglio del 1937. A 63 anni lascia un’eredità di conoscenza di inestimabile valore, sulla quale nei decenni futuri si formeranno e lavoreranno generazioni di tecnici e ricercatori e che rappresenta il fondamento delle telecomunicazioni moderne e del “villaggio globale” che oggi abitiamo.

Veramente le scoperte di Marconi sono state disruptive nelle relazioni umane e nella riduzione della distanza tra paesi e continenti, veramente era, come lo hanno soprannominato gli americani, il wireless wizard, il mago delle comunicazioni senza fili.

L’Intelligenza Artificiale: la rivoluzione di questo secolo

Guardando alle scoperte di Marconi, viene spontaneo chiedersi quale strumento innovativo, oggi, possa essere accostato alle tecnologie sviluppate dal genio bolognese.

Foto di Gerd Altmann - Pixabay

La risposta, a nostro avviso, è da ricercare nel mondo dell’informatica che, ad esempio, attraverso la meccatronica, ha dato origine a soluzioni innovative nel settore dei processi di manufacturing. Ma un altro settore merita di essere paragonato a quello di cui Marconi è stato pioniere e iniziatore: l’Intelligenza Artificiale.

L’intelligenza artificiale generativa (ad esempio ChatGpt sviluppata dalla società OpenAI) è capace di svolgere molti compiti ritenuti finora umani e di generare contenuti multimediali (testo, immagini, video, musica, ecc.) in risposta a specifiche richieste. Si tratta di uno strumento che può essere utilizzato in diversi settori (dalla analisi di documenti alla produzione di contenuti a scopo di comunicazione).

L’impiego dell’I.A. è oggi, e sarà sempre di più nei prossimi anni, fonte di trasformazioni nell’organizzazione e nella gestione di risorse e di processi aziendali, consentendo, se impiegata nel modo giusto, di liberare ore e risorse umane da dedicare ad attività maggiormente strategiche e a valore aggiunto. Vedere nell’I.A. solamente uno strumento per “tagliare teste” è un modo riduttivo e ottuso di concepire l’impiego di tale strumento dal potenziale decisamente elevato, per il miglioramento di processi quali la Ricerca & Sviluppo, la Progettazione, la Produzione e la Supply Chain, assicurando un migliore coordinamento delle risorse, una automatizzazione e velocizzazione delle attività di routine.

Già oggi il 70% delle aziende che hanno utilizzato l’I.A. dichiara di aver migliorato la produttività; inoltre, secondo uno studio realizzato da The European House Ambrosetti e Microsoft, l’I.A. può generare un impatto positivo sul PIL attraverso il risparmio di ore lavorative e l’efficientamento dei processi.

Certamente, come evidenziato da molteplici organizzazioni di categoria, il mercato del lavoro dovrà misurarsi con l’impatto dell’I.A. Le nuove frontiere della digitalizzazione incideranno sulle aziende e sui lavoratori portando una trasformazione dei posti di lavoro, la scomparsa di alcune professioni e la nascita di altre. Per affrontare e governare tale cambiamento, decisamente disruptive, sarà importante essere preparati a sfruttare il potenziale offerto dalle nuove tecnologie in chiave di miglioramento della produttività, ma anche della qualità del lavoro.

Infine, è bene sottolinearlo, l’uomo dovrà comunque essere sempre al centro della macchina organizzativa. A lui dovrà spettare il compito di esaminare e valutare il prodotto dell’I.A. e di deciderne l’impiego. In questo modo si potranno evitare i rischi profetizzati da Stanley Kubrick in “2001 Odissea nello spazio”, quando il disfunzionamento del supercomputer Hal 9000 determina il fallimento della missione spaziale, o raccontati da Ridley Scott in “Alien”, dove le decisioni dell’I.A. che governa la rotta della nave spaziale portano l’equipaggio al fatale incontro con l’alieno.

Di queste problematiche appare ben consapevole l’Unione Europea che, con il Regolamento sull’utilizzo dell’I.A., approvato lo scorso marzo, ha definito con un atto legislativo tra i primi al mondo, ambiti e requisiti per un corretto utilizzo dei sistemi di I.A. con le relative sanzioni per i trasgressori.

Foto di copertina (di A. Calisti): Radioricevitore Marconi 


Andrea Calisti

Business Transformation Expert

 

BLUPEAK - IL BUSINESS È CULTURA ORGANIZZATIVA

RICERCA E INNOVAZIONE

Ricerca e innovazione: componenti strategiche

per la competitività e lo sviluppo delle aziende


Mantenere e accrescere il “business” – nel senso di attività dell’azienda – ed evitare il rischio di trovarsi fuori dal mercato, richiede di perseguire l’innovazione come percorso obbligato, maratona impegnativa ma gratificante.

Tra le notizie dal mondo delle imprese apparse negli ultimi giorni, figurano due annunci che invitano a riflettere su una componente fondamentale per la crescita delle aziende: l’innovazione.

Wikipedia – Dominio pubblico

A Reggio Emilia è stata inaugurata una nuova ala del Parco Innovazione, sorto nei capannoni bonificati e urbanizzati delle ex Officine Meccaniche Reggiane. In questa vasta area, depositaria di una lusinghiera tradizione industriale che dal 1901 ha visto produzioni meccaniche, impiantistiche, ferroviarie e aeronautiche e che ora si apre a una seconda vita, è ospitato un importante polo universitario di UNIMORE (Università di Modena e Reggio Emilia) dedicato, tra l’altro, al digitale, all’ingegneria e all’educazione per l’alta formazione e la ricerca.

Credit: Pete Linforth - Pixabay

Quasi contemporaneamente a tale evento, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ha diffuso il report sulle attività brevettuali svolte tramite l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi nel 2023. In base ai dati consuntivati, il numero delle domande di brevetto per invenzione industriale è aumentato di circa il 4% rispetto al 2022, mentre le domande relative ai modelli di utilità sono aumentate di circa il 3%.

  

  Credit: Alexa - Pixabay

Queste tendenze mostrano come nel mondo dell’industria, la ricerca e l’innovazione continuino a occupare una posizione strategica, sostenuta dagli orientamenti del mercato verso prodotti e soluzioni in cui le dimensioni digitale e di sostenibilità rivestono un ruolo di primo piano per lo sviluppo dei prodotti e dei processi. È certamente un importante segno di vitalità del sistema imprenditoriale italiano verso la ricerca, la creatività e, quindi, verso le nuove applicazioni industriali, nonostante i difficili momenti della situazione attuale. 


Non è perciò neppure un caso se, in base alle statistiche pubblicate da “Il Sole 24 Ore”, tra le prime aziende quotate alla borsa di New York gli investimenti in ricerca e sviluppo siano mediamente pari al 14 % circa dei ricavi e se tra queste imprese vi siano aziende che si occupano di informatica (hardware e software), ma anche di telecomunicazioni e mobilità.

Questa percentuale è pienamente in linea con quanto sostenuto, ormai da diverso tempo, dagli esperti di organizzazione aziendale, per cui affinché un’azienda possa mantenere e accrescere la propria competitività, è essenziale che quota parte dei ricavi sia reinvestita nelle attività di ricerca e non in mero profitto. È fondamentale che le tecnologie su cui si basano i contenuti dei prodotti e quelle che governano i processi aziendali siano costantemente riviste e aggiornate, sulla base di un’analisi delle tendenze di mercato e delle scelte dei concorrenti.

Credit: Keith Johnston - Pixabay

Restare indietro in questa corsa può condizionare il destino e la stessa sopravvivenza delle imprese che più facilmente rischiano di ritrovarsi ai margini o fuori dal mercato per ‘mancanza di idee’. Non si tratta però, come si potrebbe pensare, di una corsa di pura velocità, ma di una maratona nella quale contano costanza e attento dosaggio dello sforzo. Come nello sport è poi determinante il gioco di squadra e la presenza di talenti in posizioni strategiche.

Tornando al tema iniziale, quindi, è assolutamente importante e strategico perseguire e incoraggiare l’interazione tra mondo accademico e quello industriale nella creazione di relazioni e strutture che possano favorire i giovani nello sviluppo del proprio percorso di formazione, in modo da conservare e tramandare le esperienze consolidate dalle figure senior e per scoprirne di nuove, a vantaggio di una learning organization capace di far crescere l’economia e il lavoro.

 

Andrea Calisti

Business Transformation Expert

 

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La certificazione PMP® e il suo valore

I pensieri e i consigli di due docenti

Silvia Martellos


Proponiamo di seguito alcune riflessioni sulla rilevanza della certificazione PMP® (Project Management Professional) del PMI (Project Management Institute).




Dalia Vodice


Lo facciamo grazie al contributo delle docenti Dalia Vodice e Silvia Martellos, professioniste del progetto e della formazione che vantano una lunga esperienza di preparazione alla certificazione PMP®, in collaborazione con BluPeak Consulting e all’interno dei programmi della BluPeak Project Academy.



Il valore della professione del Project Manager

Il progetto è una parte fondamentale della cultura organizzativa di ogni realtà: cultura della trasformazione e della produzione di valore. Il progetto rappresenta un modello di lavoro sempre più cruciale in qualsiasi organizzazione, non più relegato a supporto delle operation, ma motore diretto di crescita del business dell’azienda, nel mondo della Project Economy. Per questo, investire nelle competenze di project management significa dotarsi di strumenti versatili e potenti, richiesti in ogni contesto.

Il valore aggiunto della certificazione PMP® per il professionista e sul mercato

Si tratta di un grande valore, se pensiamo soprattutto che si tratta di una certificazione che non si è bloccata agli strumenti del passato, ma ha saputo aggiornarsi costantemente. E che inoltre integra tutti gli approcci (predittivo, incrementale, iterativo, agile, ibrido) predisponendo al tailoring e alla leadership, alla gestione delle risorse, alla comunicazione, al risk e al change management.

Pur non essendo l’unica certificazione, e pur esistendo nel mondo altre organizzazioni professionali di project management, con altri tipi di certificazioni, la PMP® del PMI rimane a nostro avviso la più richiesta, la più nota, e quindi di maggior peso se rilevata all’interno di un curriculum.

Prepararsi a tale traguardo significa costruirsi una grande opportunità per sistematizzare la conoscenza relativa al progetto. Il corpo di conoscenze è vasto e contiene le best practice distillate dalla comunità internazionale dei Project Manager; questo comporta per il candidato la cosiddetta sospensione del giudizio: non lasciarsi troppo influenzare dalle proprie pratiche passate, seppur efficaci, e aprirsi a un universo più ampio.

I principali cambiamenti culturali in seno al PMI, più decisivi per la comunità dei Project Manager

Tra i cambiamenti degni di nota, sicuramente l’ampliamento della visuale: i diversi approcci, il tailoring, una maggior sinergia con le discipline del Change Management e della Business Analysis, e un’attenzione più alta alla cultura della progettualità e alla costruzione di un galateo comportamentale del Project Manager. Tutti elementi, questi, presenti all’interno della nuova impostazione dell’esame PMP®.

Consigli a chi sta pensando di lanciarsi nella sfida…

I corsi interaziendali rappresentano un’occasione preziosa di confronto con settori, organizzazioni e pratiche diverse dalle proprie, oltre che un’opportunità di networking.

Ogni aspetto teorico viene reso vivo dalla condivisione di aneddoti e di esperienze professionali differenziate. Poiché l’impegno richiesto è notevole – va detto con chiarezza –,  quando si decide, è importante mettersi nella condizione di poter studiare con regolarità durante l’intero percorso e mirare a sostenere l’esame a stretto giro, per ottimizzare il valore della conoscenza acquisita.

Vince la costanza, il fatto di riuscire a fare un pezzettino ogni giorno; ed è importante trovare all’esterno dei sostenitori che aiutino a mantenere la continuità e a non perdersi d’animo. Ma non vogliamo spaventare: si tratta di un esame fattibile e di grande soddisfazione!

È un’esperienza che noi di BluPeak paragoniamo alla Montagna Blu, richiamata nel nostro logo… Usiamo quest’espressione come metafora di un cammino in ascesa, da compiere insieme, con aiuto vicendevole e complicità nei momenti di difficoltà, ma vòlti alla medesima meta, la cima, raggiunta la quale si torna a valle con un inevitabile quanto significativo cambiamento.

  

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