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Certificazione PMP® del PMI: testimonianze a favore

BluPeak crede fermamente nel valore della certificazione PMP® (Project Management Professional) del PMI (Project Management Institute), tanto che proprio i percorsi di preparazione per il suo conseguimento sono una delle attività della nostra Academy.

A tal riguardo ci ha fatto molto piacere raccontare la testimonianza di due professionisti divenuti PMP® dopo un percorso curato da BluPeak: Raffaella Battaglia e Mauro Manzetti.

Entrambi lavorano presso Tesar SpA:

Raffaella Battaglia è Delivery Manager e Mauro Manzetti è Chief Operating Officer.

Tesar SpA da più di 30 anni fornisce sistemi per la raccolta dei dati, per la pianificazione, il controllo e la gestione della produzione oltre che della qualità dell’industria.

Raffaella, che lavora con un team di quindici persone, coordinando anche professionisti esterni, ci spiega che «in Tesar, il ruolo del Delivery Manager negli ultimi anni è cambiato, evolvendosi verso una gestione di tipo PMO; significa che al coordinamento si aggiunge la collaborazione, la facilitazione: fornire gli strumenti, le best practice e i template necessari per organizzare e pianificare al meglio la gestione dei progetti. E in effetti è questo il grosso obiettivo che mi do quotidianamente: Kaizen, un miglioramento continuo, per ottenere il quale ho sviluppato, soprattutto dopo il percorso per la certificazione, intelligenza emotiva, soft skill e la capacità di essere “vision oriented”, con un focus quindi sul valore che viene consegnato anziché su ciascun singolo deliverable.»

Il Chief Operating Officer, invece, cioè Mauro, è «il riferimento manageriale di tutti i responsabili di funzione. Il mio principale compito in Tesar è fare in modo che le attività operative si svolgano con fluidità ed efficienza secondo le regole stabilite e applicando la strategia aziendale.» Oltre al coordinamento dei team leader, Mauro si pone come servant leader a supporto di tutti i colleghi, e dunque mette in pratica significative capacità organizzative e di problem solving, oltre che la negoziazione e poi l’active listening, il conflict management e il mentoring, ovvero skill proprie della comunicazione.

Ma proviamo a capire cos’è scattato in loro, tanto da decidere di affrontare il percorso che li avrebbe portati al conseguimento della certificazione PMP®.

«In primis la voglia di migliorarsi», ci dice Mauro. «Noi proponiamo soluzioni software volte a gestire il miglioramento continuo, ed è in quest’ottica, per offrire servizi sempre più validi ai nostri clienti, che abbiamo deciso di intraprendere il percorso per la PMP®. L’altro obiettivo è stato quello di standardizzare le nostre procedure e documentazioni in linea con le migliori pratiche di project management riconosciute a livello internazionale.»

Quando fu proposto il corso per la certificazione, Raffaella aveva appena cambiato ruolo, da PM a manager di un team numeroso. «Ciò rappresentava per me una sfida, ulteriori energie da mettere in gioco, responsabilità, stress e soprattutto tanto lavoro. Il PMP® avrebbe assorbito una consistente dose di queste preziose energie, perciò risposi No grazie, come se avessi accettato!» Purtroppo per lei, però, quest’opzione non era prevista e il suo capo la iscrisse ugualmente…  

I momenti ostici non sono mancati per entrambi e più volte hanno pensato di lasciar perdere: la cosa più gravosa fu, naturalmente, conciliare il già sostenuto ritmo e le responsabilità lavorative con lo studio. «Di aiuto è stato il fatto che abbiamo sempre cercato di studiare in gruppo o comunque di fare sessioni di test insieme», racconta Mauro. Mentre Raffaella, con la sua schiettezza, ci confessa che a mo’ di mantra ripeteva Ma chi me l’ha fatto fare?, e poi «aggiungevo l’accusa Accidenti a te! rivolta al mio capo, a cui avevo spiegato che non sarebbe stata una passeggiata di salute e col quale studiavo di notte via Teams.»

La disponibilità costante da parte dei docenti di BluPeak – a cui Raffaella e Mauro riconoscono grande competenza –, il confronto con loro, i consigli e i suggerimenti ricevuti per arrivare preparati all’esame, oltre che il rapporto instaurato con i colleghi delle altre aziende – un mix fra collaborazione e sana competizione professionale –, sono stati un insieme di elementi che secondo la loro opinione hanno giocato a vantaggio.  

E allora alla fine, dopo, «la soddisfazione per il risultato è stata tanta e lo sforzo fatto è valso assolutamente la pena!». Questa è l’affermazione di Mauro, sulla cui scia Raffaella ci regala un racconto molto personale e coinvolgente.

«Ritrovarsi alla soglia dei cinquant’anni con un ruolo da manager appena assegnato, una famiglia e una bambina di nove anni che, giustamente, richiede tempo e attenzioni, è stata la sfida più grande. Mi ritrovavo a studiare ovunque. Man mano che andavo avanti, però, mi appassionavo agli argomenti e all’idea di ottenere una certificazione così prestigiosa, io che avevo mollato l’università… Ecco, per me rappresentava anche un’opportunità di riscatto! Quasi tutte le sere mia figlia si addormentava con l’immagine della mamma che studiava. Ricordo un giorno in cui ero particolarmente esasperata e sbottai: “Basta! Non ce la faccio più, mollo qui!”. E mia figlia mi disse: “Mamma, e tutto lo studio che hai fatto finora? Vuoi davvero buttarlo nel secchio?!” Fu una bella lezione e soprattutto il giusto stimolo ad andare avanti, per me stessa e per ciò che lei avrebbe voluto vedere in sua madre: una che non molla! Ammetto che quando arrivò il risultato del superamento dell’esame, piansi…»

Sia per Mauro che per Raffaella, già durante il periodo di studio è cambiato il loro approccio agli impegni aziendali di ogni giorno, perché, di fatto, come dice Mauro, «è stato mettere nero su bianco, con procedure anche abbastanza articolate, il lavoro quotidiano. Un processo che ti arricchisce in quanto ti procura gli strumenti per interpretare più approfonditamente ciò che avviene durante le varie fasi di un progetto.»

«Mentre studiavo», ci racconta Raffaella, «si consolidava sempre di più in me il convincimento che i temi della PMP® devono necessariamente essere applicati per ottenere il successo di un progetto. Ho cambiato approccio mettendomi ‘al servizio’ dei miei collaboratori nel facilitare la gestione e la comunicazione fra i vari reparti aziendali. Non a caso, ora professo anche ai nuovi arrivati le tecniche di gestione dei progetti come insegna il PMI.»

Ringraziando ancora Raffaella Battaglia e Mauro Manzetti per il tempo, la disponibilità e la trasparenza, chiediamo loro di salutarci con un invito rivolto a chi fosse titubante nei confronti della certificazione.

«Col senno di poi è più facile dirlo», ammette Raffaella, «ma vi garantisco che è così: l’esame è impegnativo ma fattibile; non occorre imparare a memoria, bensì capire bene i processi e le logiche di base. Consiglio: condensate lo studio evitando di procrastinare l’esame; quindi appena si è studiato tutto, è bene pianificare la data dell’esame e continuare la preparazione con quell’obiettivo. Quando lo raggiungerete, vi sentirete forti e vi verrà voglia di pensare al successivo… Attenzione: crea dipendenza!»

E Mauro: «È sicuramente un percorso oneroso e non banale, ma altrettanto sicuramente accresce la conoscenza e gli strumenti per operare più efficacemente sui progetti. Un suggerimento è quello di ritagliarsi dei tempi tutti i giorni, anche solo mezz’ora, per studiare e fare i test. Credetemi, benché sembri impossibile, citando Gene Wilder vi dico: Si può fare!»

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RICERCA E INNOVAZIONE

Ricerca e innovazione: componenti strategiche

per la competitività e lo sviluppo delle aziende


Mantenere e accrescere il “business” – nel senso di attività dell’azienda – ed evitare il rischio di trovarsi fuori dal mercato, richiede di perseguire l’innovazione come percorso obbligato, maratona impegnativa ma gratificante.

Tra le notizie dal mondo delle imprese apparse negli ultimi giorni, figurano due annunci che invitano a riflettere su una componente fondamentale per la crescita delle aziende: l’innovazione.

Wikipedia – Dominio pubblico

A Reggio Emilia è stata inaugurata una nuova ala del Parco Innovazione, sorto nei capannoni bonificati e urbanizzati delle ex Officine Meccaniche Reggiane. In questa vasta area, depositaria di una lusinghiera tradizione industriale che dal 1901 ha visto produzioni meccaniche, impiantistiche, ferroviarie e aeronautiche e che ora si apre a una seconda vita, è ospitato un importante polo universitario di UNIMORE (Università di Modena e Reggio Emilia) dedicato, tra l’altro, al digitale, all’ingegneria e all’educazione per l’alta formazione e la ricerca.

Credit: Pete Linforth - Pixabay

Quasi contemporaneamente a tale evento, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ha diffuso il report sulle attività brevettuali svolte tramite l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi nel 2023. In base ai dati consuntivati, il numero delle domande di brevetto per invenzione industriale è aumentato di circa il 4% rispetto al 2022, mentre le domande relative ai modelli di utilità sono aumentate di circa il 3%.

  

  Credit: Alexa - Pixabay

Queste tendenze mostrano come nel mondo dell’industria, la ricerca e l’innovazione continuino a occupare una posizione strategica, sostenuta dagli orientamenti del mercato verso prodotti e soluzioni in cui le dimensioni digitale e di sostenibilità rivestono un ruolo di primo piano per lo sviluppo dei prodotti e dei processi. È certamente un importante segno di vitalità del sistema imprenditoriale italiano verso la ricerca, la creatività e, quindi, verso le nuove applicazioni industriali, nonostante i difficili momenti della situazione attuale. 


Non è perciò neppure un caso se, in base alle statistiche pubblicate da “Il Sole 24 Ore”, tra le prime aziende quotate alla borsa di New York gli investimenti in ricerca e sviluppo siano mediamente pari al 14 % circa dei ricavi e se tra queste imprese vi siano aziende che si occupano di informatica (hardware e software), ma anche di telecomunicazioni e mobilità.

Questa percentuale è pienamente in linea con quanto sostenuto, ormai da diverso tempo, dagli esperti di organizzazione aziendale, per cui affinché un’azienda possa mantenere e accrescere la propria competitività, è essenziale che quota parte dei ricavi sia reinvestita nelle attività di ricerca e non in mero profitto. È fondamentale che le tecnologie su cui si basano i contenuti dei prodotti e quelle che governano i processi aziendali siano costantemente riviste e aggiornate, sulla base di un’analisi delle tendenze di mercato e delle scelte dei concorrenti.

Credit: Keith Johnston - Pixabay

Restare indietro in questa corsa può condizionare il destino e la stessa sopravvivenza delle imprese che più facilmente rischiano di ritrovarsi ai margini o fuori dal mercato per ‘mancanza di idee’. Non si tratta però, come si potrebbe pensare, di una corsa di pura velocità, ma di una maratona nella quale contano costanza e attento dosaggio dello sforzo. Come nello sport è poi determinante il gioco di squadra e la presenza di talenti in posizioni strategiche.

Tornando al tema iniziale, quindi, è assolutamente importante e strategico perseguire e incoraggiare l’interazione tra mondo accademico e quello industriale nella creazione di relazioni e strutture che possano favorire i giovani nello sviluppo del proprio percorso di formazione, in modo da conservare e tramandare le esperienze consolidate dalle figure senior e per scoprirne di nuove, a vantaggio di una learning organization capace di far crescere l’economia e il lavoro.

 

Andrea Calisti

Business Transformation Expert

 

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Globalizzazione: fine dei giochi?

Globalizzazione: dopo 25 anni sembra necessario un cambiamento di approccio

Foto di Paul Brennan - Pixabay

Il mondo industriale italiano è ancora in fermento. Nell’automotive, in questi giorni sono circolate voci sull’arrivo in stabilimenti italiani della produzione di auto elettriche di origine cinese, date in appalto per salvare i livelli occupazionali.

Quasi nello stesso tempo è apparso sul Corriere della Sera un articolo dal titolo “Pannelli fotovoltaici, tutti i numeri del dominio cinese: la transizione green passa solo da Pechino”, nel quale  la Redazione Economia del quotidiano milanese, partendo dai numeri pubblicati in un rapporto ENEL-Ambrosetti, mette in evidenza la condizione di difficoltà in termini di competitività in cui si trova l’Europa, a causa di costi operativi in ingresso molto più alti di quelli cinesi e di una filiera priva di economie di scala.

Foto di Sumanley xulx - Pixabay

Questi due casi – a prescindere dalle riflessioni specifiche di molti commentatori – sono, a mio avviso, un esempio dell’effetto che la cosiddetta globalizzazione, tanto incoraggiata in passato, ha prodotto: il depauperamento e il declino tecnologico di intere filiere industriali del nostro continente.

Negli anni dell’immediato dopoguerra (tra i ’50 e i ’70 del XX secolo) alcuni paesi sono stati oggetto di iniziative industriali volte a riutilizzare tecnologie e ad esportare prodotti divenuti ormai obsoleti in Europa, con lo scopo di dar loro una “seconda giovinezza”, allungandone il ciclo di vita e ricollocando contemporaneamente – in tutto o in parte – i macchinari impiegati per la loro realizzazione.

Foto di Pete Linforth - Pixabay

Successivamente, in particolare dopo la caduta del Muro di Berlino e grazie alle aperture dei governi locali, molte aziende hanno visto nei mercati asiatici, come quello cinese, sia un serbatoio di manodopera a costi convenienti, sia un potenziale sbocco per i propri prodotti. Ecco, quindi, che intere produzioni sono state spostate dall’Europa o sono state addirittura sviluppate e industrializzate sul posto. Questo processo ha favorito la nascita e lo sviluppo di capacità tecniche locali, mentre in Europa si è assistito a un progressivo depauperamento tecnologico di interi settori industriali – come quelli citati ad esempio - che hanno perso, complici anche visioni industriali e politiche inadeguate, linfa vitale nello studiare e implementare nuovi prodotti e tecnologie; la stessa linfa che negli anni ha invece arricchito e trasformato in concorrenti agguerriti i paesi che erano visti come territorio, se non di conquista, almeno di colonizzazione industriale.

Oggi il risveglio è brusco. Ci accorgiamo di essere rimasti indietro in settori tecnologici cruciali e fatichiamo a tenere/recuperare il passo.

Questa situazione tende a essere preoccupante se consideriamo le potenziali ripercussioni dei conflitti esistenti in diverse parti del mondo (in Ucraina, ma anche in Medio Oriente e in Africa), per non parlare dei rapporti USA-Cina, che potrebbero condizionare la disponibilità di prodotti e tecnologie sui quali non abbiamo più la capacità di governo.

Foto di alex dutemps - Pixabay

Oltre ai fattori di cui sopra, anche i cambiamenti climatici impongono una riflessione sull’impatto ambientale dei trasporti delle merci, rendendo sempre più urgente la definizione di una nuova politica industriale che possa rilocalizzare le produzioni e ridare energia a interi comparti della manifattura europea.

È questa una trasformazione di business che impatta su un intero continente e che richiede una nuova visione per recuperare, salvaguardare e mettere al centro delle scelte strategiche la dimensione locale di territori capaci di esprimere ancora elevati livelli tecnologici e manufatturieri.

È necessario che tale visione trovi spazio e applicazione in tutti quei settori, dai beni strumentali materiali, all’informatica e allo sviluppo dei software, le cui applicazioni consentono il funzionamento dei diversi comparti dell’economia.

Per applicare una siffatta strategia con successo, uno strumento è senza dubbio la creazione e lo sviluppo di centri di formazione, sia da parte delle istituzioni pubbliche che delle aziende. Accademie che possano favorire la conservazione e la continuità dei saperi e delle competenze, ma anche il loro incremento attraverso la ricerca e lo sviluppo di nuovi prodotti e processi sempre più efficienti e sostenibili per l’intero ecosistema.

 

 Andrea Calisti

Business Transformation Expert

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Innovazione e cambiamento per le PMI

Innovazione e cambiamento: fattori strategici per la sopravvivenza delle Piccole e Medie Imprese

L’importanza di un supporto efficace per affrontare questo percorso


L’evoluzione degli scenari

Foto di Augusto Ordóñez -Pixabay

L’inizio dell’anno è sempre un momento di bilanci e di indagine sulle prospettive per il futuro. Secondo alcuni esperti, l’anno appena iniziato sarà per la nostra industria interlocutorio per effetto delle dinamiche dell’economia mondiale, che l’Italia riuscirà a superare continuando a valorizzare la diversificazione della propria economia e del proprio tessuto imprenditoriale.

In questo contesto di analisi e aspettative, si inseriscono anche le statistiche e le previsioni di Cerved, la società che dal 1973 studia le evoluzioni del mondo imprenditoriale.

Secondo il Rapporto Cerved PMI 2023, a un 2022 positivo per le PMI italiane (+6,1% di fatturato, +3,2% di valore aggiunto), nel 2023 si è avuta un’inversione della tendenza, causata dall’inflazione, dal rialzo dei tassi di interesse e dalle note situazioni di conflitto in atto nello scenario geopolitico. Sempre secondo le previsioni 2024-2025 elaborate da Cerved, sarebbero a rischio l’8,5% delle piccole e medie imprese; inoltre lo scorso anno, per la prima volta dal 2019, sono tornate a crescere le chiusure di impresa (+33,3%), in particolare nel settore manifatturiero.

Nuove sfide imprenditoriali

Nei prossimi anni le aziende si troveranno quindi ad affrontare nuove sfide, operando scelte strategiche per assicurare la loro stessa sopravvivenza.

Inevitabilmente si assisterà a una sorta di selezione naturale che, secondo gli esperti, interesserà in particolare le PMI e che potrà essere superata solamente con delle decisioni mirate di investimenti, di diversificazione e di innovazione. Solo gli imprenditori che sceglieranno di non stare alla finestra potranno mantenere e accrescere il proprio livello di competitività e le proprie quote di mercato, superando la congiuntura sfavorevole e fronteggiando efficacemente la concorrenza europea ed extra-europea.

Foto di neo tam - Pixabay

Per poter fare degli investimenti occorrono però risorse finanziarie e per poter disporre di tali mezzi senza aumentare l’indebitamento dell’azienda, la strada obbligata è quella della riorganizzazione delle attività, che però non vuol dire tagliare indiscriminatamente produzione e personale. Un progetto di riorganizzazione aziendale efficace deve porsi come obiettivo l’eliminazione delle attività prive di valore aggiunto, con la conseguente liberazione di risorse finanziarie da indirizzare, ad esempio, nello sviluppo di nuovi prodotti, nella ricerca di opportunità di mercato diverse e nella formazione per la riqualificazione del personale.

A riguardo, è interessante la citazione tratta dal discorso fatto da Adriano Olivetti in occasione dell’inaugurazione dello stabilimento di Pozzuoli (aprile 1955):

«Innalzare le nostre insegne a New York come a Francoforte, a Vienna come a San Francisco, a Rio de Janeiro o a Città del Messico o nella lontana Australia, organizzare officine, istruire venditori (…) garantire l’efficienza del personale, assicurare ovunque un servizio di assistenza tecnica (…) non fu cosa né facile, né rapida.

E questa lotta non avrà mai fine, poiché la concorrenza, le invenzioni, i perfezionamenti non hanno limiti e dovremo, sotto questo riguardo, non dar mai segni di stanchezza, alimentando di nuove forze tecniche i nostri laboratori di ricerche, i nostri centri studi.» (Adriano Olivetti “Ai Lavoratori”, Edizioni di Comunità).

Foto di Mohamed Hassan - Pixabay

Nel testo riportato è efficacemente riassunto l’atteggiamento delle imprese virtuose, che guardano costantemente al prodotto, all’innovazione e al mercato, per cogliere i cosiddetti “segnali deboli” e sfruttare tempestivamente le opportunità. Sono queste le aziende capaci di risollevarsi da momenti di crisi e sulla base dell’indice “Back-to-Bonis Score” (sviluppato sempre da Cerved mediante algoritmi predittivi che stimano le capacità di recupero per ogni posizione deteriorata o a rischio di deterioramento); tra queste si annoverano le imprese a controllo familiare, quelle con un amministratore delegato esterno, le startup innovative, le aziende guidate da under 35 e quelle con una leadership femminile.

Il ruolo della consulenza

Per operare efficacemente una riorganizzazione, è opportuno che la Direzione aziendale valuti con serenità di ricorrere a un supporto di consulenza. Spesso, infatti, l’imprenditore è assorbito dalle questioni correnti e dalle esigenze immediate e, se non viene adeguatamente assistito, non è in grado di dedicare il tempo adeguato e la giusta riflessione alle strategie di riorganizzazione.

Foto di Gerd Altmann - Pixabay

Inoltre, la partecipazione ai progetti di figure qualificate con una conoscenza ad ampio spettro delle realtà imprenditoriali, consente di studiare e di implementare soluzioni derivanti da tale bagaglio di conoscenze ed esperienze.

Infine, è importante procedere con metodo, e a questo proposito, una garanzia di affidabilità è costituita dalla certificazione di Qualità in base alla norma ISO 9001:2015. La certificazione garantisce, ad esempio, lo sviluppo delle diverse fasi del processo di consulenza a partire da un’analisi di rischi e opportunità e dalla definizione di specifici obiettivi di risultato.

Il consulente, oltre a saper analizzare le situazioni correnti, deve essere capace di costruire e proporre le opzioni di scenario più funzionali alle caratteristiche dell’azienda e guidare l’imprenditore verso una scelta consapevole che permetta percorsi da seguire con costanza e continuità.

 

 Andrea Calisti

Business Transformation Expert

BLUPEAK - IL BUSINESS È CULTURA ORGANIZZATIVA

BluPeak Consulting è un’azienda con Sistema di Gestione della Qualità certificato secondo la norma ISO 9001:2015