Le aziende acquisiscono ed elaborano conoscenze attraverso l’esperienza e il confronto con il mercato. L’insieme delle conoscenze di cui un’organizzazione dispone[1]costituisce una parte importante del suo valore ed è il fondamento su cui produce risultati, in base ai suoi obiettivi strategici.
Il patrimonio di conoscenza, tuttavia, tende a disperdersi per vari motivi: spesso per avvicendamento delle risorse, talvolta per cessione incontrollata e priva di remunerazione.
Quest’ultimo aspetto è l’oggetto principale delle note che seguono (che abbiamo suddiviso in due articoli): le organizzazioni, e in particolare le aziende manufatturiere, si trovano nella condizione di cedere conoscenze, anche di alto livello, in modo gratuito e non strutturato. esaminiamo quindi come l’istituzione di una struttura di formazione, o Accademia Aziendale, o, ancora, Academy, sia una risposta per la gestione di tale problema.
La cessione di conoscenza nelle organizzazioni
Se si acquista una vettura, l’acquirente conosce bene ciò che sta acquistando e l’uso che ha intenzione di farne: il concessionario non deve effettuare sessioni di scuola guida, al massimo investe un tempo commisurato al prestigio del cliente e al costo della vettura (nel mio caso tre minuti scarsi!) per spiegare le principali caratteristiche del modello acquistato e degli accessori installati.
Nei progetti che coinvolgono la tecnologia il contesto è differente, perché differenti sono le aspettative del committente. Le soluzioni tecnologiche permettono di ridurre i tempi di attraversamento dei processi e i loro costi di gestione e sono frutto di competenze elaborate in base a esperienze specifiche e derivanti da una specifica cultura che disegna processi e pratiche secondo schemi definiti, a volte difficili da adattare e modificare. Questa circostanza conduce a concentrare la vendita sugli aspetti tecnici, trascurando i fattori umani e gli aspetti culturali, dando per scontato che la semplice implementazione risolverà il problema. Quest’ultimo aspetto, che deriva dall’aura mistica che circonda la tecnologia e dall’illusione che renda ogni risultato possibile, influenza le decisioni di acquisto e di avvio dei progetti: il committente decide sperando che lo strumento in sé possa sopperire a deficienze organizzative o a processi inesistenti o impostati in modo approssimativo. Il risultato, tuttavia, può essere l’opposto di quello che si era sperato all’avvio: la tecnologia mette in evidenza, anziché sanarle, le carenze culturali e organizzative del committente, aprendo un ventaglio di conseguenze negative per tutti gli stakeholder coinvolti. Il committente acquista consapevolezza di doversi adeguare, e di dovere investire ulteriori risorse, e può essere tentato dal recedere dal progetto per ridurre al minimo la perdita economica[2].
La cessione di conoscenza nei progetti
ad alto contenuto tecnologico
Se il cliente non è preparato in modo adeguato a utilizzare la soluzione acquistata, quantomeno deve essere cosciente del divario che è necessario colmare, in termini di competenze, per raggiungere il risultato desiderato. Tuttavia, chi vende la soluzione è spesso consapevole che la creazione di questa consapevolezza ostacola l’avvio del progetto o la stessa decisione di acquisto, ma la sua omissione rimanda la scoperta del problema.
In conseguenza, quando si passa alla fase esecutiva del progetto chi lo esegue, anche se la sua attività primaria è la vendita di una soluzione tecnologica, tende a cedere in modo incontrollato una forte quantità di conoscenza, per garantire l’uso di tale soluzione. Anche se non vengono ceduti segreti industriali, il cliente riceve competenze, ad esempio, sull’impostazione o su pratiche di esecuzione dei processi che, al pari della tecnologia venduta, generano efficienza e valore.
La perdita economica legata alla cessione di conoscenza non si limita al tempo speso in attività non remunerate, che possono comunque ridurre in modo importante la marginalità e quindi il profitto, ma genera effetti negativi anche sulla reputazione e sul valore del marchio dell’organizzazione e sulla perdita di opportunità di vendita: le attività non remunerate, infatti, debbono essere realizzate nel minor tempo possibile per ridurre i costi, circostanza che conduce a improvvisare le sessioni formative assegnandole a tecnici non preparati a tale scopo.
La dispersione di conoscenze
Un altro aspetto della gestione della conoscenza che genera perdite economiche, è legato alla dispersione delle conoscenza generate dalle organizzazioni determinata da molteplici cause: le persone considerano, a giusta ragione, che le competenze di cui dispongono costituiscono una fonte di potere o quantomeno di sicurezza della loro posizione lavorativa e, se la cultura aziendale è molto competitiva, tendono a concedere il loro sapere, a trasmettere le loro competenze con diffidenza, o a non cederle affatto, con la conseguenza di perderle con l’avvicendarsi delle persone.
In un ambiente in cui sia presente, al contrario, una cultura di condivisione delle conoscenze, che premi chi abbia escogitato nuove soluzioni, emerge come aspetto problematico la difficoltà di codificare e preservare in modo sistematico le conoscenze acquisite. Questo processo è dispendioso[3] e viene eseguito spesso, a causa o di urgenze o di un’impostazione culturale non adeguata, in modo non strutturato risultando poco efficace.
[1] Come è stato sottolineato da più autori quali ad esempio Robert Grant (Grant, 2021) e Ikujiro Nonaka (Nonaka, 2007).
[2] Il committente in questo caso subisce quella che Edgar Schein, mutuando il modello del campo di forze di Lewin, ha definito Learning Anxiey (Schein & Schein, 2017), la forza che tende a mantenere lo status quo.
[3] Per una descrizione si veda l’articolo “Cultural Aspects of Lessons Learned” (Costa, 2024), citato in bibliografia.
Luca Costa
Business Transformation Expert
Foto: Cipro - Sito Archeologico di Kourion (Credit: L. Costa)
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