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Digital Transformation e Business Transformation: due facce della stessa medaglia

Il piano Transizione 5.0 è quasi in dirittura di arrivo ed è destinato a portare nuove risorse economiche a beneficio del mercato dell’Information and Communication Technology (ICT) che appare già piuttosto vivace.

Per sostenere efficacemente un processo di trasformazione digitale è però necessario verificare anche la maturità e le capacità ad accettare questi cambiamenti da parte dell’organizzazione in cui si vogliono implementare le soluzioni digitali.

Dalla Digital Transformation può quindi nascere una Business Transformation… O forse è quest’ultima che consente di applicare con successo la prima.


L’andamento del mercato ICT

Secondo il rapporto “Il Digitale in Italia - 2024” diffuso da Anitec-Assinform, l’associazione del sistema Confindustria che segue le aziende e il mercato dell’Information and Communication Technology (ICT), il mercato digitale italiano nel 2023 ha fatto registrare una crescita del 2,1%, con un valore complessivo di 78,7 miliardi di euro.

I diversi segmenti specifici che compongono il mercato dell’ICT hanno consuntivato però risultati differenti.

I servizi ICT hanno evidenziato un +9%, mentre il settore dei dispositivi e dei sistemi ha mostrato un calo del 4,8%. Andamenti positivi hanno caratterizzato anche i comparti dei software e delle soluzioni ICT (+5,8%) e dei contenuti digitali (+5,5%).

Gli investimenti delle aziende e della PA si sono concentrati principalmente su:

  • soluzioni e servizi cloud per rendere più flessibili e scalabili infrastrutture e applicazioni;

  • strumenti di cybersecurity per la protezione dei dati ai diversi livelli;

  • gestione dei “big data” per migliorare l’utilizzo delle informazioni;

  • intelligenza artificiale per analizzare le informazioni e creare contenuti.

Vista all’orizzonte 2027, la tendenza del mercato appare in costante crescita, sia in valore assoluto, sia rispetto al PIL del Sistema Paese, e nel 2027 è previsto che possa superare i 90 miliardi di euro.

Gestire correttamente

la trasformazione digitale

A fronte di un mercato che appare quindi in crescita e che offre alle aziende soluzioni sempre più sofisticate e innovative, è corretto chiedersi quali siano i presupposti per gestire convenientemente la trasformazione digitale dei processi che, mai come oggi, può risultare “disruptive”.

La risposta è abbastanza chiaramente individuata: per una corretta implementazione di soluzioni e innovazioni digitali è necessario che l’organizzazione e i processi aziendali siano preparati a ricevere e gestire questi nuovi strumenti. Occorre una valutazione preventiva della “readiness” al cambiamento digitale e un’eventuale ristrutturazione del modus operandi.

Prendendo in prestito un’immagine dal mondo rurale, l’azienda che si affaccia a una trasformazione digitale può essere vista come un campo che deve essere opportunamente arato e fertilizzato prima della semina, affinché il raccolto sia abbondante e di qualità.

È bene quindi che l’imprenditore rifletta preliminarmente sullo stato della propria organizzazione e sulla sua preparazione/propensione al cambiamento.

Occorre appurare se in azienda vi sono le giuste competenze per una trasformazione digitale dei processi e integrare le eventuali lacune. È però anche necessario eliminare le resistenze al cambiamento, sostenendo le persone che fanno parte dell’organizzazione e guidandole in modo opportuno attraverso la trasformazione dei processi in cui sono coinvolte, in modo che possano sentirsi parte integrante delle nuove dinamiche e non cadano nell’idea di essere escluse o, peggio, sostituite nelle mansioni dai nuovi sistemi informatici.

Una simile analisi, complessa e articolata, richiede all’imprenditore o al manager che l’affrontano freddezza e serenità di giudizio e di critica, anche del proprio operato; ma soprattutto la capacità di non cedere alla tentazione di pensare che la semplice adozione di un sistema informatico (magari agevolata da incentivi statali che coprono l’investimento) riesca a essere la panacea dei mali dell’azienda, senza capire che questi possono avere radici più profonde e difficili da estirpare.

In questo percorso può essere d’aiuto ricorrere a un supporto esterno di esperti in grado di guardare all’organizzazione in maniera trasparente e senza preconcetti, apportando inoltre un contributo di esperienza derivante dal confronto con diverse e molteplici realtà. 

In sintesi, possiamo affermare che una trasformazione digitale di successo si realizza non solo tramite una scelta ragionata del software o del sistema da acquistare, ma analizzando e plasmando preventivamente il contesto affinché l’introduzione e l’utilizzo dei nuovi strumenti informatici possano essere portati avanti con successo e con continuità nel tempo, creando autenticamente valore per l’impresa.


Foto di copertina: Gerd Altmann - Pixabay

Andrea Calisti

Business Transformation Expert


BLUPEAK - IL BUSINESS È CULTURA ORGANIZZATIVA

Il Leader: chi è (era) costui?

Riflessioni, perché non sono mai abbastanza, sulla figura e sul concetto di Leader e di Leadership, elementi sempre essenziali nel governo delle aziende come nella gestione dei progetti.

Partiamo dai fatti

Se consideriamo la definizione ufficiale del vocabolario Treccani, il concetto di “Leader” è messo in relazione alla politica e allo sport.

Nel primo caso il leader è il capo di un partito, di un movimento d’idee, di un’organizzazione, di un gruppo. Nel secondo caso il leader è il concorrente (atleta o squadra) che è al primo posto in classifica durante la disputa di un campionato o comunque di una gara con più prove, oppure il cavallo che in ogni circostanza corre davanti agli altri, li conduce e serve loro da guida.

Ci perdoneranno gli accademici della Treccani se in questo contesto, e rifacendoci al mondo delle aziende che ben conosciamo, declineremo il concetto di “Leader” in forma diversa.

Innanzitutto, il leader non è (sempre) chi occupa una posizione apicale nell’organizzazione, men che meno il “padrone” o il CEO dell’azienda. Certamente per queste figure la leadership dovrebbe essere una dote innata e necessaria ma, purtroppo, ciò non sempre si verifica.

Il leader dovrebbe necessariamente dare prova di avere ed esercitare le seguenti capacità:

  • conoscenza dell’azienda;

  • conoscenza del prodotto e del mercato;

  • visione a medio/lungo termine;

  • capacità di trasformare la visione in scelte operative coinvolgendo e motivando i collaboratori.

A. Olivetti

Una volta l’imprenditore conosceva i propri collaboratori (dall’ingegnere al semplice operaio) per nome. Aveva ben presente sia le capacità tecniche di ciascuno, sia le singole situazioni familiari e personali, e sapeva impegnarsi per mettere ciascuno nella condizione di rendere al meglio nel lavoro quotidiano. Allo stesso tempo, l’imprenditore autentico, prima di accedere alle funzioni di vertice dell’azienda, faceva una robusta gavetta partendo dal basso, per conoscere e toccare con mano i vari aspetti della produzione. Così è stato, ad esempio, per Adriano Olivetti o, in tempi più recenti, per il compianto Giovanni Alberto Agnelli (che oggi, se non fosse troppo prematuramente scomparso, avrebbe 60 anni). Questa è leadership esercitata a livello delle persone.

L’imprenditore deve conoscere il mercato, quello interno come quello di esportazione e sapere quali scelte compiere non solamente per moltiplicare i dividendi degli azionisti, ma soprattutto per mantenere e creare lavoro e valore d’impresa. A tale proposito ci sembra quanto mai opportuno ricordare nuovamente Adriano Olivetti e la storia della sua azienda che, per contrastare i momenti di crisi e non licenziare, ha costantemente cercato sbocchi in nuovi mercati, rimanendo attenta alle innovazioni di prodotto e alla diversificazione del business (per esempio nel settore dei mobili per ufficio). Allo stesso modo la vision dell’impresa e del contesto è necessario che vada oltre il breve termine e la logica degli incentivi ottenibili dai singoli governi, rimettendo al primo posto la capacità di fare innovazione (di prodotto come di processo) e di gestire il rischio di impresa. Questa è leadership etica.

D. Giacosa

Sulla conoscenza del prodotto e sulla capacità di sviluppare prodotti innovativi e in linea con le aspettative dei clienti, non possiamo non ricordare Dante Giacosa e Vittorio Ghidella, creatori di alcuni tra i modelli più innovativi della Fiat: Topolino, 600, 500, 128, 127, Uno, Croma (con le sorelle Alfa Romeo 164 e Lancia Thema).

Questa è leadership tecnologica.

Foto: Emslichter - Pixabay

Infine, come già accennato, il leader deve proiettarsi nel futuro. Saper guardare alla luna e non al dito e, soprattutto, voler raggiungere la luna e motivare i collaboratori verso questo obiettivo. Su questo concetto calza perfettamente la frase dantesca: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” (Divina Commedia, XXVI canto dell’Inferno). Questa è probabilmente la dimensione più autentica della leadership.

Leadership: concetto quanto mai essenziale e necessario alle aziende

per esser competitive

Il leader autentico è quindi una persona che, come si dice in gergo giornalistico, è sempre “sul pezzo”, sia nella gestione delle dinamiche interne all’azienda, sia nelle relazioni con il contesto esterno.

Nel progetto, il Project Manager dovrebbe avere le diverse dimensioni della leadership distillate al massimo livello, non solamente per far lavorare correttamente e in modo coordinato verso gli obiettivi comuni i diversi componenti del team di progetto (che spesso sono fisicamente lontani o possono appartenere ad aziende diverse), ma anche per gestire in modo corretto le relazioni con lo “sponsor” e i mutamenti di scenario.  

Le aziende competitive e di eccellenza dovrebbero avere leader veri nelle posizioni strategiche a qualsiasi livello: apicale, ma anche operativo.

La leadership è inoltre una dote fondamentale per poter gestire efficacemente l’ingresso dell’Intelligenza Artificiale nelle organizzazioni, evitando sconvolgimenti di ruoli e di clima aziendale… Ma questa è un’altra storia.

Foto di copertina: Gerd Altmann - Pixabay

Andrea Calisti

Business Transformation Expert

BLUPEAK - IL BUSINESS È CULTURA ORGANIZZATIVA

La meta del cambiamento… Un viaggio in 4 tappe - SECONDA TAPPA

Quattro incontri su alcune tematiche connesse alla trasformazione organizzativa


26 marzo - 4 luglio - 3 ottobre - 13 dicembre 2024

I quattro webinar, organizzati da Blulink srl, di cui BluPeak è partner, presentano la meta del cambiamento come una cima, impegnativa ma al contempo alla portata di tutti, da raggiungere con adeguati strumenti culturali, cognitivi e metodologici.



Dopo la prima tappa, curata da Stefano Setti, è la volta di Luca Costa, Business Transformation Expert del Team BluPeak, che ci accompagnerà nel “Campo 1” con un intervento dal titolo:

“Resistenza o Resilienza? Change readiness e aspetti culturali nella gestione del cambiamento”.

L’appuntamento è per giovedì 4 luglio 2024, online, dalle 11:30 alle 12:15.

Info e registrazione al sito di Blulink

Agile Mindset&Design Thinking - Seconda parte

Agile Mindset&Design Thinking

per una Business Transformation di successo

seconda parte

Proseguendo l’articolo precedente, in cui ho parlato dell’Agile Mindset, ora tratto del Design Thinking.

Il Design Thinking è un modo di pensare, sviluppato per favorire l’innovazione e la creatività, con un approccio orientato all’utente e che parte da una comprensione approfondita dei suoi bisogni, per concepire soluzioni completamente nuove ed efficaci.  

Fin dall’inizio, alla base del Design Thinking c’è l’idea di un cambiamento disruptive: uno schema concettuale nuovo è necessario quando dobbiamo ideare prodotti o servizi innovativi, così come una Business Transformation che debba affrontare un passaggio radicale (quantico) o risolvere problemi particolarmente difficili di qualsiasi natura (i cosiddetti problemi aggrovigliati), laddove un approccio cartesiano convergente non è sufficiente. Nell’affrontare la Business Transformation, il Design Thinking può essere convenientemente integrato con le lezioni provenienti dalla Business Process Reengineering, sviluppate negli anni ’90 (Hammer, Davenport), il cui approccio prevede lo smantellamento e il ripensamento radicale di uno o più processi chiave dell’azienda.

Il Design Thinking si è sviluppato negli anni ‘80 e ‘90 alla Stanford University, adottato e perfezionato dalla maggior parte dei grandi player della produzione manifatturiera e del mondo digitale.

Un principio fondamentale del Design Thinking è che ogni innovazione deve operare nell’intersezione tra: 

  • Desiderabilità del cliente

  • Fattibilità tecnica

  • Sostenibilità aziendale

A mindset, a process, a toolkit?

Una delle principali aree di applicazione del Design Thinking, nei primi decenni della sua vita, è stata la progettazione dell’esperienza dell’utente (UX), dove è fondamentale sviluppare e affinare le competenze per comprendere e affrontare i rapidi cambiamenti negli ambienti e nei comportamenti degli utenti.

Il mondo è diventato sempre più interconnesso e complesso da quando Herbert A. Simon (Nobel per l’Economia e Premio Turing) ha menzionato per la prima volta il Design Thinking nel suo testo del 1969, “Sciences of the artificial”, e ha contribuito ad ampliare i suoi principi. Analisti di svariati settori, come architettura e ingegneria, hanno sviluppato tale modalità altamente creativa per affrontare le esigenze umane nell’era moderna e sempre più organizzazioni, in molteplici ambiti, troveranno nel Design Thinking uno strumento prezioso per sviluppare soluzioni innovative per prodotti e servizi. I team di progettazione utilizzano il Design Thinking per affrontare problemi poco definiti e sconosciuti (l’aggettivo inglese che è stato adottato, wicked, ha il senso di aggrovigliato, diabolico, malvagio, a sottolineare la difficoltà ad affrontarlo con metodi noti e schemi tradizionali; possiamo parlare di problemi complessi), perché in questo modo possono riformularli in modo umano-centrico e concentrarsi su ciò che è più critico per gli utenti.

Tra tutti i processi di progettazione, il Design Thinking è quasi certamente il migliore per pensare fuori dagli schemi. Con esso, i team possono svolgere meglio la ricerca UX, la prototipazione e i test di fruibilità per trovare nuovi modi di soddisfare le esigenze degli utenti.

La seguente distinzione delle fasi caratteristiche del Design Thinking è quella più universalmente adottata:

Fase 1: Empatizzare

Explore Users’ Needs - In questa fase è necessario approcciare empaticamente al problema da risolvere, in genere attraverso l’osservazione degli utenti. L’empatia è fondamentale per un processo di progettazione incentrato sull’uomo, perché consente di mettere da parte le proprie supposizioni sul mondo e di acquisire una visione reale degli utenti e delle loro esigenze. Quando è possibile, il designer deve mettersi nei panni dell’utente e vivere direttamente la sua esperienza. È utile integrare in questa fase qualsiasi conoscenza e capacità di gestire i bias cognitivi e le trappole mentali.

Fase 2: Definire

Assess your stakeholders’ pains & gains - La seconda fase consiste nell’accumulare le informazioni raccolte durante la fase precedente. Le osservazioni vengono analizzate e sintetizzate per definire i problemi principali identificati dal team. Queste definizioni sono talvolta chiamate problem statements. Un potente strumento per questo scopo è chiamato personas (una sorta di archetipo, realistico, del soggetto, con foto, citazioni, desideri, ostacoli...) per aiutare a mantenere gli sforzi centrati sull’uomo prima di procedere alle fasi successive.

Fase 3: Ideare

Create ideas adopting lateral thinking - Ora il team è pronto a generare idee. Il bagaglio di conoscenze acquisito nelle prime due fasi permette al team di iniziare a pensare fuori dagli schemi, a cercare modi alternativi di vedere il problema e a individuare soluzioni innovative per sostanziare l’affermazione proposta. Il brainstorming è particolarmente utile in questo caso, così come qualsiasi altro strumento di pensiero laterale, soprattutto i Sei Cappelli di De Bono (ci tornerò più avanti).

Fase 4: Prototipo

If fail, fail soon - Questa è una fase altamente empirica e sperimentale. L’obiettivo è identificare la migliore soluzione possibile per ogni problema riscontrato. Il team dovrebbe produrre alcune versioni economiche e ridotte del prodotto (o di specifiche funzionalità presenti nel prodotto) per approfondire le idee emerse. Ciò potrebbe comportare anche una semplice prototipazione su carta. Uno dei mantra del Design Thinking, infatti, è show, don’t tell (mostra, non raccontare): si tratta di un chiaro collegamento con l’Agile Mindset, che ricerca i primi feedback degli utenti attraverso la consegna incrementale delle parti di prodotto a cui si è lavorato. Si tratta di un passaggio critico, perché immaginare un fallimento, o peggio ancora cercare feedback negativi da parte degli utenti, è anticulturale, per nulla istintivo, per cui il team leader deve gestire con attenzione la consapevolezza e le emozioni del gruppo.

Fase 5: Test

Challenge your solutions to launch - I prototipi vengono testati rigorosamente. Anche se questa è la fase finale, il Design Thinking è iterativo. I team spesso utilizzano i risultati per ridefinire uno o più problemi successivi. Quindi, si può tornare alle fasi precedenti per effettuare ulteriori iterazioni, modifiche e perfezionamenti, per trovare o escludere soluzioni alternative. L’iterazione può riguardare qualsiasi fase.

Appare chiaro che utilizzando il Design Thinking combiniamo pensiero convergente e divergente, e l’abilità del team leader deve essere focalizzata nel bilanciare efficacemente questi due poli.

Divergent/convergent thinking

I principi di cui sopra possono essere sintetizzati così:

  • La comprensione dei bisogni del cliente è fondamentale.

  • L’approccio è fortemente incentrato sull’uomo.

  • Il valore della prototipazione è grande.

  • Il potere dello schizzo (Show, dont tell).

  • Un approccio al pensiero laterale ben allenato aiuta a evitare i bias cognitivi.

The De Bono Six Hats

I Sei cappelli per pensare sono stati creati e sviluppati dal Dr. Edward de Bono. La tecnica dei Sei cappelli e l’idea associata del pensiero parallelo forniscono ai team un mezzo per pianificare i processi di pensiero in modo dettagliato e coeso e, così facendo, per pensare insieme in modo più efficace.(1)

Sebbene il metodo dei Sei cappelli di De Bono non sia effettivamente incorporato nel Design Thinking, potrebbe rappresentarne una potente integrazione.

 Vediamo nel dettaglio:

  • Il Cappello Bianco si basa sull’analisi di informazioni conosciute o necessarie: “I fatti, solo i fatti.”

  • Il Cappello Giallo simboleggia luminosità e ottimismo. Sotto questo cappello si esplorano gli aspetti positivi e costruttivi e si cercano vantaggi e benefici.

  • Il Cappello del risk management è probabilmente il cappello più potente, ed è un problema, tuttavia, se usato eccessivamente: individua i punti critici e le cause di mal funzionamenti. È per sua natura un cappello d’azione, con l’intento appunto di evidenziare i rischi e superarli.

  • Il Cappello Rosso rappresenta sentimenti, presentimenti e intuizioni. Quando si usa questo cappello, è possibile esprimere liberamente le emozioni e ciò che proviamo, condividere paure, simpatie, antipatie, amori e odio.

  • Il Cappello Verde si concentra sulla creatività, sulle possibilità, sulle alternative e sull’originalità. Ci offre l’opportunità di esprimere concetti e percezioni nuovi.

  • Il Cappello Blu viene utilizzato per gestire in modo strutturato il processo del pensiero. È il meccanismo di controllo che garantisce che le linee guida dei Sei Cappelli del Pensiero® siano osservate.

Qui di seguito gli obiettivi che possono essere raggiunti applicando tale metodologia:

  • Massimizzare la collaborazione produttiva e minimizzare l’interazione e i comportamenti controproducenti

  • Considerare questioni, problemi, decisioni e opportunità in modo sistematico

  • Utilizzare il pensiero parallelo come gruppo o team per generare idee e soluzioni più numerose e migliori

  • Rendere le riunioni molto più brevi e produttive

  • Ridurre i conflitti tra i membri del team o i partecipanti alle riunioni

  • Stimolare l’innovazione generando rapidamente idee in maggior numero e migliori

  • Creare riunioni dinamiche e orientate al risultato, che invoglino le persone a partecipare

  • Andare oltre l’ovvio per scoprire soluzioni alternative efficaci

  • Individuare opportunità dove gli altri vedono solo problemi

  • Pensare chiaramente e oggettivamente

  • Vedere i problemi da angolazioni nuove e insolite

  • Fare valutazioni approfondite

  • Vedere tutti gli aspetti di una situazione

  • Tenere a bada l’ego e la difesa del territorio

  • Ottenere risultati notevoli e significativi in meno tempo

1 https://en.wikipedia.org/wiki/Six_Thinking_Hats





CONCLUSIONI

In chiusura del mio intervento, diviso qui sul sito BluPeak in due parti, ricordo che la tipologia degli attuali scenari di mercato richiedono alle organizzazioni forti capacità per realizzare cambiamenti costanti e regolari. Quindi i due approcci analizzati:

  • l’Agile Mindset, ovvero l’arte di fornire soluzioni flessibili e incrementali, accogliendo il cambiamento,

  • il Design Thinking, cioè l’arte del pensiero laterale, creativo e divergente, che permette di ottenere idee e prodotti radicalmente nuovi, in grado di soddisfare i clienti,

grazie alle caratteristiche precipue di ciascuno, possono essere convenientemente adottati e integrati per massimizzare le capacità di cambiamento richieste. Business Transformation, quindi, non appare più solo un termine ombrello, come viene diffusamente detto, che riunisce tutti gli strumenti necessari, bensì una vera e propria cultura del cambiamento organizzativo in grado di ottenere il successo.

Nell’era dell’Industria 5.0, definita anche come Economia dell’Innovazione, la comunità industriale internazionale ha riconosciuto che, oltre allo sviluppo tecnologico – più spesso digitale – è necessario puntare sulle persone e sui processi, adottando un approccio complesso e olistico alla trasformazione aziendale. Sia l’Agile Mindset (che include l’Agile Project Management e l’Organizational Agility) che il Design Thinking stanno fornendo agli stakeholder del cambiamento un vasto spettro di nuove competenze e di strumenti, opportunamente raccolti in toolkit.

Agile Mindset e Design Thinking sono stati creati per migliorare la capacità di innovazione nelle sfide di cambiamento dirompenti e con scenari incerti; entrambi hanno alternato periodi di moda a periodi di scetticismo, ma altrettanto entrambi sono oggi adottati dai grandi player e vengono riconosciuti, unanimemente, come efficaci tool per comprendere e gestire i cambiamenti.  

Agile Mindset e Design Thinking sono oramai ben sviluppati a livello globale, sufficientemente maturi e soprattutto costantemente perfezionati. Sia l’uno che l’altro sono basati su un approccio human-centered. Risultano inoltre in grado di potenziare le capacità di trasformazione e, nel contempo, possono essere fortemente rafforzati dalla vision e dalla strategia della Business Transormation stessa.

Last but not least, non possiamo non considerare la leadership: la richiesta di questo insieme integrato di capacità, allontanandoci dalle interpretazioni più facili e inefficaci di questa parola oramai abusata, sta diventando sempre maggiore proprio per guidare o sostenere il cambiamento. Importante è esplorarne anche le svariate e differenti dimensioni: leadership interpersonale, organizzativa, strategica, relativa alla mission nonché a sé stessi.

 

Stefano Setti

CEO&Founder di BluPeak Consulting

 

BLUPEAK - IL BUSINESS È CULTURA ORGANIZZATIVA

Agile Mindset&Design Thinking - Prima parte

Agile Mindset&Design Thinking

per una Business Transformation di successo

Prima parte

Prendendo spunto dallo speech che ho avuto il piacere di presentare in contesti internazionali, con due articoli sul nostro blog metterò a confronto l’Agile Mindset e il Design Thinking: due diversi modi di pensare all’innovazione e dar forma al futuro, entrambi centrati sull’essere umano e quindi cruciali per sostenere i manager nella visione e nella guida delle trasformazioni. Andando oltre, e come suggerisce il titolo, indicherò come la loro integrazione possa essere applicata alla gestione di trasformazioni aziendali che siano solide ed efficaci.

Suddividendo quindi il tema in due parti, in questo primo articolo parlerò dell’Agile Mindset.

Being vs Doing Agile

Essere professionisti Agili significa che le azioni e i comportamenti sono guidati e plasmati dai 4 valori e dai 12 principi enunciati nel Manifesto per lo sviluppo agile del software del 2001, comunemente noto come Manifesto Agile, secondo cui l’approccio Agile dà priorità a:

  •  Individui e interazioni più che a processi e strumenti

  • Software funzionante più che a documentazione esaustiva

  • Collaborazione con il cliente più che alla negoziazione del contratto

  • Rispondere ai cambiamenti più che a seguire un piano

Il focus è su quel più che: l’Agile non sta eliminando vecchie pratiche, ma sta dettando una nuova priorità. La differenza chiave tra essere Agile e fare Agile è che essere Agile significa credere nei valori e nei principi enunciati nel Manifesto Agile, mentre fare Agile richiede l’uso di strumenti, tecnologie e metodologie moderne per creare processi di consegna continua che rispettino i princìpi dell’Agile.

Agile project management

I cicli di vita adattativi, come la famiglia di framework agili (Scrum, XP, TDD, ecc.), dovrebbero essere adottati quando si affronta un elevato grado di incertezza, considerandone entrambe le principali dimensioni, sempre presenti e identificabili in ogni tipo di iniziativa di innovazione: uncertainty of requirements e uncertainty of technology (figura sotto).

Uncertainty and complexity model inspired by the stacey complexity model

Agile Practice Guide, by PMI® - Project Management Institute, page 14

L’Agile, o cicli di vita guidati dal cambiamento (iterativi o incrementali), si sforza di ottenere feedback tempestivi dal cliente, attraverso la consegna continua di parti di prodotto o soluzione (potenzialmente rilasciabili). Non tutto il contenuto (scope) è definito chiaramente all’inizio del progetto, ovvero nella fase di pianificazione, come avviene nell’approccio predittivo. Il contenuto dettagliato viene definito e approvato prima dell’inizio di ciascuna iterazione.

 

Val la pena ricordare i 12 principi di un approccio Agile:

 

  1. Soddisfazione del cliente attraverso la consegna tempestiva e continua del software.

  2. Accogliere i cambiamenti dei requisiti, anche in fase di sviluppo avanzato.

  3. Consegnare frequentemente parti di prodotto funzionanti (settimane più che mesi).

  4. Cooperazione stretta e quotidiana tra stakeholder (i soggetti del business) e sviluppatori.

  5. I progetti sono costruiti intorno a individui motivati, con cui creare un rapporto di fiducia.

  6. Parlare faccia a faccia, in maniera diretta, è la migliore forma di comunicazione.

  7. Il prodotto funzionante è il principale metro di misura del progresso del progetto.

  8. Promuovere uno sviluppo sostenibile, in grado di mantenere un ritmo costante.

  9. Porre attenzione continua all’eccellenza tecnica e alla buona progettazione.

  10. La semplicità, ovvero l’arte di massimizzare la quantità di lavoro non svolto, è essenziale.

  11. I migliori requisiti e progetti emergono da team che si auto-organizzano.

  12. Con tempi regolari, il team riflette su come diventare più efficace e si adatta di conseguenza.

 

La figura seguente mostra la relazione tra Mindset, Valori, Principi, Pratiche, nonché l’opportunità di raccogliere e armonizzare le pratiche in framework, standard o personalizzati.

The Agile Funnel - A model for change

Image credit: Ahmed Sidky, from cprime.com (1)

Scrum, il framework Agile più popolare e adottato, è stato sviluppato nei primi anni ‘90. Nel 2010, Ken Schwaber e Jeff Sutherland hanno scritto la prima versione della Scrum Guide, nel tempo aggiornata, per aiutare le persone in tutto il mondo a comprendere Scrum.

Secondo The Scrum Guide (2):

  • Scrum si basa sull’empirismo e sul pensiero lean. L’empirismo afferma che la conoscenza proviene dall’esperienza e da decisioni prese in base a ciò che viene osservato. Il pensiero lean riduce gli sprechi e si concentra sugli elementi essenziali.

  • Scrum utilizza un approccio iterativo e incrementale per ottimizzare la prevedibilità e controllare il rischio. Scrum coinvolge gruppi di persone che, collettivamente, hanno competenze ed esperienze necessarie per svolgere il lavoro e condividono o acquisiscono tali competenze in base alla necessità.

  • Scrum combina quattro eventi formali per l’ispezione e l’adattamento all’interno di un evento che li contiene, lo Sprint. Questi eventi funzionano perché implementano i pilastri empirici di Scrum: trasparenza, ispezione e adattamento.

Oltre a Scrum, sono stati sviluppati altri framework agili, come XP (Extreme Programming), FDD (Function Driven Development), TDD (Test Driven Development) e, parzialmente sovrapponibili, Kanban e Lean. E oltre a questi, il PMI® (Project Management Institute), raccogliendo un insieme comune di linee guida e strumenti, ha sviluppato un approccio più generale e agnostico, contenuto nell’Agile Practice Guide.

Organizational Agility

L’idea di Organizational Agility non si concentra esclusivamente sulla gestione di progetti agili, bensì su una capacità aziendale di adattarsi e reagire ai cambiamenti. Il termine è stato definito molto prima della recente crisi pandemica, considerando gli attuali scenari aziendali parte del mondo VUCA (3); negli ultimi anni di crisi, la connessione tra Organizational Agility e l’idea di resilienza ha continuato a rafforzarsi. Alcuni autori spiegano l’Organizational Agility come la capacità di sviluppare strategie resilienti, mentre altri considerano l’agilità più vicina al pensiero lean, spostando quindi l’attenzione più su processi efficienti che sulla capacità di cambiare.

Secondo lo Scaled Agile (SAFe), “La competenza di Organizational Agility descrive come le persone orientate al pensiero lean e le squadre agili ottimizzano i loro processi aziendali, evolvono la strategia con nuovi impegni chiari e decisi e si adattano rapidamente all’organizzazione secondo necessità per sfruttare nuove opportunità”. (4)

Agile Mindset

Adottiamo l’espressione Agile Mindset per sottolineare che abbiamo soprattutto bisogno di un insieme di strumenti cognitivi e decisionali per affrontare un mondo in costante cambiamento e con un alto grado di incertezza. Alcuni pilastri dell’Agile Mindset sono:

  • Approccio basato sul valore: l’unico driver dovrebbe essere il valore aziendale

  • Ricerca di feedback tempestivo dal cliente

  • La cultura di stabilire priorità, l’idea di Minimum Viable Product (MVP)

  • Accogliere i cambiamenti anche se intervengono in una fase avanzata del progetto

  • Eccellente progettazione, unita allo sforzo per la semplicità (less is more)

  • Primato della face-to-face communication

  • Costruzione di fiducia all’interno del team

  • Potere dei team auto-organizzati, idea di servant leadership

  • La cultura della retrospettiva: una costante auto-osservazione per imparare dalle esperienze del singolo e del team.

 Un tentativo di includere sia l’Agile project management che l’Organizational Agility ha portato al metodo DSDM (Dynamic Systems Development Method).

THE DISCIPLINED AGILE (DA) TOOL KIT

In base alla definizione del PMI® - Project Management Institute, il DA® tool kit è un kit di strumenti per team o aziende che sfrutta centinaia di pratiche agili per condurre al modo migliore di lavorare. L’idea di base, dopo anni di applicazioni di framework, è che “La vera agilità aziendale deriva dalla libertà, non dai framework”, combinata con l’idea che ogni azienda dovrebbe essere libera di adottare un approccio ibrido altamente personalizzato, sfruttando comportamenti originali.

Nella storia dei modelli organizzativi, specialmente quelli che si prefiggono di essere al servizio dell’innovazione, abbiano già assistito in diverse epoche alla paradossale evoluzione di alcuni paradigmi: nati proprio per “liberare” la comunità degli sviluppatori (intendendo con questo termine in senso lato chi si occupa di costruire il nuovo attraverso iniziative progettuali) da vincoli, dogmi e prescrizioni spesso insiti nei framework, talvolta si sono trasformati con il tempo e la stratificazione delle pratiche in nuovi sistemi dogmatici.

Riteniamo in ogni caso di grande attualità ed efficacia i concetti di ibridazione e tailoring, che devono far parte di ogni moderno approccio metodologico.

Stefano Setti

CEO&Founder di BluPeak Consulting

1 https://www.anagilemind.org/articles/the-agile-funnel-a-model-for-change

2 The Scrum Guide - The Definitive Guide to Scrum: The Rules of the Game, by Ken Schwaber & Jeff Sutherland, November 2020

3 VUCA is an acronym coined in 1987, to describe or to reflect on the volatility, uncertainty, complexity and ambiguity of general conditions and situations,
https://en.wikipedia.org/wiki/Volatility,_uncertainty,_complexity_and_ambiguity

4 © Scaled Agile, Inc. https://scaledagile.com/

 

BLUPEAK - IL BUSINESS È CULTURA ORGANIZZATIVA

La meta del cambiamento… Un viaggio in 4 tappe - PRIMA TAPPA

Quattro incontri su alcune tematiche connesse alla trasformazione organizzativa


26 marzo - 4 luglio - 3 ottobre - 13 dicembre 2024

I quattro webinar, organizzati da Blulink srl, di cui BluPeak è partner, presentano la meta del cambiamento come una cima, impegnativa ma al contempo alla portata di tutti, da raggiungere con adeguati strumenti culturali, cognitivi e metodologici.

Il CEO & Founder di BluPeak, Stefano Setti, e tre Business Transformation Expert del Team BluPeak, Luca Costa, Andrea Calisti e Dalia Vodice, guideranno i partecipanti durante ciascuna tappa, fornendo gli strumenti di cui sopra!

Il primo incontro è per martedì 26 marzo 2024: Stefano Setti ci terrà nel “Campo base” con “I fondamentali della Business Transformation”.

L’appuntamento è online dalle 11:30 alle 12:15.

Info e iscrizione al
sito di Blulink