Design Thinking - Che cosa è
e perché aiuta a far la differenza
Il Design Thinking rappresenta un complesso coerente di pratiche sempre più ricche e consolidate per lo stimolo della creatività in vari domini di applicazione. Viene definito come l’insieme dei processi cognitivi, strategici e pratici con il quale la progettazione di prodotti è sviluppata da team di design.
Derivato da alcune tecniche di creatività sperimentate negli anni ‘50 e ’60 nell’ambito dello sviluppo nuovo prodotto (NPD, New Product Development), ha raggiunto maggiore strutturazione e diffusione negli anni ’80, fino al primo simposio di ricerca sul Design Thinking che si è tenuto alla Delft University (Olanda) nel 1991. Negli primi anni 2000 ha poi completato la sua formalizzazione presso la Stanford University (H. Plattner).
Negli ultimi anni il concetto di Design Thinking si è spostato verso l’innovazione di prodotti e servizi a spettro sempre più ampio. In quest’ottica il Design Thinking si configura come modello progettuale volto alla risoluzione di problemi complessi attraverso visione e gestione creative.
Il Design Thinking incorpora processi come:
l’analisi di contesti;
l’individuazione di problemi, la loro strutturazione e soluzione;
il pensiero creativo;
la modellazione e prototipazione (sketching and drawing);
il test e la validazione.
Fra le sue caratteristiche principali vanta l’applicabilità a problemi ostici ('wicked' problems), l’adozione di strategie orientate alla soluzione – ponendosi rigorosamente nel punto di vista del cliente da cui si accolgono contributi diretti – l’uso del ragionamento abduttivo, l’adozione di mezzi non-verbali, spaziali, visuali.
Come è accaduto ad altre discipline (si pensi alla cultura Agile o alla Business Analysis, che da un più ristretto dominio IT si sono allargate attraverso un irreversibile e credibile processo di generalizzazione), il Design Thinking è stato via via applicato ad ambiti sempre più ampi, come il design di servizi in ambito pubblico e sociale, spingendosi in terreni di frontiera con sperimentazioni dai risultati difficilmente valutabili e suscitando talvolta fondate critiche di iper-semplificazione.
Come si articola il Design Thinking?
Rielaborazione da: An Introduction to Design Thinking PROCESS GUIDE – Hasso Plattner, Institute of design at Stanford
I 5 passaggi tipici del design thinking sono:
Empathize – l’empatia, il cuore di un processo di design human-centered; numerosi gli strumenti per sviluppare comprensione dei pensieri e delle emozioni del cliente (osservazione, job shadowing, be-a-user, altri metodi desunti dall’etnografia e dall’antropologia);
Define – in base a quanto osservato ci si concentra sui bisogni di tipo negativo (pains) che devono essere rimossi o alleggeriti, e di tipo positivo (gains) che devono suggerire interventi per amplificare l’esperienza di comfort o di piacere;
Ideate – si ipotizza l’intervento, combinando pensiero convergente e divergente, tecniche conscie e inconscie (brainstorming, bodystorming, sketching, etc);
Prototype – azione di prototipazione, la più rapida, anche se non accurata, per pervenire a un manufatto mostrabile;
Test – è la verifica sul campo con il cliente: mostrare, non spiegare, ottenere dal cliente una narrativa, un ‘esperienza da confrontare con il prima o con l’altro.
Il Design Thinking deve essere applicato in modo iterativo, con un’elevata sensibilità alla fattibilità delle soluzioni ipotizzate e alla loro sostenibilità complessiva (di natura economica, organizzativa, psicologica, ecc.). Il Design Thinking non è una disciplina facile o intuitiva come può sembrare, necessita infatti di un ruolo di facilitatore attento e talvolta energico: spostarsi dalla propria zona di comfort e specialmente l’esercizio dell’empatia, il sapersi mettere nei panni del cliente, dell’altro, è un passaggio che può essere innaturale e a tratti doloroso. Questa difficoltà non toglie, però, che questi “muscoli” si possano allenare, con buoni risultati individuali e di team.
Insomma, possiamo dire che il Design Thinking ha spesso mantenuto le proprie promesse e, se non si cerca di tirarlo oltre confini ragionevoli, offre un approccio che può dire di aver raggiunto oggi una propria maturità ed efficacia.
Sotto questo profilo, il Design Thinking può essere adottato al proprio benessere e alla propria vita? Siamo convinti di sì. Può sembrare un passaggio ardito, ma se eseguito adottando la serietà dell’approccio del coaching, in cui – all’interno di una relazione generativa fra individui consapevoli – si producono idee esplorando l’allineamento fra valori, preferenze e caratteristiche individuali, è adatto per (co-)creare le circostanze ottimali in cui esprimere al meglio le nostre potenzialità creative e vivere pienamente (LIFE Design Thinking).
Stefano Setti – BluPeak Consulting