Uno dei capisaldi del sistema economico-produttivo nel quale viviamo consiste nel fatto che per riuscire a ritagliarsi un ruolo – più o meno rilevante – all’interno del mercato occorre essere competenti, ossia avere la competenza rispetto a ciò che si fa.
Senza la competenza non avrebbe senso mettersi in gioco, ovvero in competizione con tutti coloro che vogliono garantirsi una fetta di profitto nell’ambito analogo al nostro. Gli altri sono appunto i nostri competitor. Il capitalismo di stampo liberista che abbiamo conosciuto con l’avvento della modernità ha posto la competizione tra soggetti liberi – cioè individui possibilmente privati, ossia separati rispetto a uno Stato – come principio cardine per far progredire le società. Tale sfida avviene all’interno di uno scenario agonico regolamentato da leggi auspicabilmente eque e giuste. Accade tuttavia che di sovente i partecipanti a tale gioco vogliano vincere facile o a tutti i costi, mettendo il tornaconto personale al di sopra di ogni legge che ci si è dati per far sì che il sistema nel quale giochiamo sia proficiente. L’altro, il competitor, perde quindi agli occhi di un siffatto soggetto lo status di player positivo che, proprio come sé medesimo, sta cercando di fare bene il proprio mestiere all’interno di uno scenario comune che riguarda entrambi in prima persona, per diventare un nemico, qualcuno da abbattere perché non è con lui o come lui. Il competitor diventa necessariamente negativo, un attore che agisce contro di lui in senso ostile; si tratta ovviamente di un bias cognitivo dal momento che l’avversario è semplicemente un pari che sta giocando come riesce la propria partita nel sistema economico-produttivo nel quale ci si ritrova immersi. Il discorso non cambierebbe neppure nell’eventualità che questo avversario sia stato per primo scorretto nei confronti del soggetto in questione; il rispetto verso sé stessi e le regole del gioco vengono prima di tutto.
I latini avevano più espressioni per definire il nemico: le due principali erano hostis, da cui deriva ostilità e designava il contrario di cives, ossia il competitor straniero che non faceva parte della propria squadra e minacciava gli interessi pubblici, e inimicus, più semplicemente il non-amico, che designava un rivale privato. Il competitor, espressione ormai presente in pianta stabile nel nostro linguaggio e che pensiamo di aver desunto dall’inglese, è di fatto anch’esso un termine latino, sostantivo maschile della III declinazione, che letteralmente vuol dire “colui che va insieme”. Cum petere = definire un obiettivo e tentare di raggiungerlo assieme. E il competitor, ossia colui che gareggia nel gioco del sistema produttivo, può farlo solo se rispetta le leggi, i vincoli, il diritto che come comunità ci si è dati, ossia se è abilitato a farlo a partire da un’autorità che lo riconosce in quanto competitor. A tal proposito noi possiamo dire che ha la competenza per svolgere un determinato compito.
Tale excursus linguistico – lungi dall’essere una mera digressione fine a sé stessa – ha come scopo quello di mostrare che alla radice del concetto di competenza vi sia di fatto un’idea nobile che attesta la condizione necessaria per dirsi competente, quindi esperto e valente in una determinata disciplina o ambito, nella presenza dell’avversario. Da qui a cascata possiamo parlare di competenze (skill), ossia dei singoli attributi che possiamo allenare e che ci rendono competitivi. Ciò che sta al principio dell’etimologia della competenza e della competizione è dunque quella particella cum-, la quale implica un’alterità che di fatto ci identifica. Quel “con” spesso è sì una sfida, ma sempre insieme agli altri. È lo stesso cum- che ritroviamo in parole come cum-laborare, collaborazione, per mezzo della quale possiamo dirci competitivi, quindi competenti, di successo e in grado di produrre profitto. Sta a noi decidere se vedere gli altri come alleati o come nemici, ben consci che nel sistema capitalistico di stampo liberista l’impresa è sovente tra privati, e tra privati il nemico è l’inimicus, non l’hostis, ossia è quel non-amico che gode dei medesimi nostri diritti a competere in quanto cives, sebbene non necessariamente debba essere nostro alleato.
Noi di BluPeak crediamo fortemente nel valore collaborativo nel conseguire un’impresa. Questa è la nostra idea di azienda, di organizzazione e di società: competere non vuol dire tendere a essere “i migliori”, ma più banalmente “migliori”, ossia “fare bene”, gareggiando con lealtà insieme agli altri nel rispetto reciproco, cercando di allenare le nostre competenze in senso qualitativo – e non solo quantitativo – in vista di un fine comune, evitando di voler apparire a tutti i costi i più grandi, magari dai piedi d’argilla.
Questi sono i temi che ci hanno spinto a organizzare una giornata di riflessioni a più voci, BLUPEAK EXPERIENCE 2019, 27 settembre 2019, dal titolo “SKILL FOR BUSINESS, SKILL FOR LIFE”: PER UNA ECOLOGIA DELLA COMPETENZA.
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BluPeak Experience 2019
“Skill for Business, Skill for Life: per un’ecologia della competenza”
Giornata gratuita e aperta a tutti per incontrare i nostri specialisti della competenza e tracciare insieme nuove rotte di sviluppo e valore.