BUSINESS TRANSFORMATION JOURNEY
DECISION MAKING
Siamo immersi in un’epoca di cambiamenti tecnologici radicali, profondi e incisivi che vanno a toccare non solo il modo di produrre e di fare business, ma altresì le nostre relazioni, la nostra cultura, la nostra società fino addirittura la nostra persona. Imparare a gestire questa incertezza crescente, vedendo in essa un valore propositivo e non un mero impiccio alle nostre pianificazioni, è fondamentale per adattarsi in maniera saggia e sensata all’incedere dei tempi. D’altro canto tale trasformazione non va accolta con un ottimismo ingenuo, ritenendola neutrale e priva di reali conseguenze sulla nostra vita. Bisogna saperla governare. Per tale motivo, in ambito business, si parla proprio di Business Transformation, ossia di quell’arte composta da innumerevoli strumenti e discipline per gestire al meglio il cambiamento affinché la trasformazione sia positiva e generativa di valore per le nostre organizzazioni e le nostre persone.
Ogni reale trasformazione implica a monte delle scelte consapevoli, ossia delle decisioni prese generalmente dal top management in grado di orientare il flusso degli eventi nella direzione auspicata e desiderata per il bene dell’azienda. E per fare scelte consapevoli è richiesto un addestramento, un sapersi muovere in un contesto sempre più VUCA (Volatility, Uncertainty, Complexity, Ambiguity) in senso sempre più raffinato e competente, grazie anche a ciò che quel mondo – che si definisce Decision Making, ossia l’arte di prendere decisioni – ha da insegnarci. Partendo da una definizione standard, possiamo vedere il Decision Making come «the cognitive process resulting in the selection of a belief or a course of action among several alternative possibilities. Decision-making is the process of identifying and choosing alternatives based on the values, preferences and beliefs of the decision-maker. Every decision-making process produces a final choice, which may or may not prompt action» [1].
In primis, per saper prendere decisioni positive e benefiche, occorrono due aspetti decisivi: l’esperienza e la competenza. Nessuna persona con poca esperienza è in grado di scegliere in vista del bene perché banalmente non ha vissuto che cosa è bene e che cosa è male. Non a caso, nelle posizioni apicali delle grandi organizzazioni, risiedono i senior manager, ossia coloro che con tanti anni di esperienza alle spalle sono in grado di offrire un orientamento. D’altro canto l’esperienza non basta, ma servono anche intelligenza, preparazione, competenza, professionalità, al punto in cui, generalmente, nelle posizioni di vertice si scelgono i più preparati accanto ai più esperti. Questa virtù di saper prendere le decisioni opportune si chiama saggezza, intesa come «disposizione pratica, accompagnata da ragione verace, intorno a ciò che è bene e ciò che è male» [2]. La saggezza ha un fine etico, ossia è indirizzata verso ciò che è bene. E di saggezza ne serve eccome in azienda per non fare scelte scriteriate, ma per condurre l’organizzazione verso lidi floridi! Quando si pensa alla saggezza, la prima immagine che ci viene in mente è un uomo anziano con la lunga barba bianca e una tranquillità d’animo fuori dal comune. Certamente la saggezza richiede tempo, come abbiamo visto poco sopra. Però, accanto alla maestra vita, è necessario sviluppare la competenza necessaria per sapere prendere decisioni, in quanto la saggezza si può e si deve allenare, attraverso numerosi strumenti e piccoli esercizi che, fatti con costanza, ci portano a ragionare in maniera verace, per dirla con Aristotele. Qui ne elenchiamo giusto tre per introdurre la questione.
Hick’s Law. «Il tempo che si impiega a prendere una decisione aumenta in maniera esponenziale in relazione all’aumentare delle opzioni di scelta che si hanno». Il tempo che impieghiamo per una scelta è direttamente proporzionale alle opzioni a disposizione. Molto banalmente, la Legge di Hick ci insegna che per prendere decisioni in breve tempo bisogna fare, per prima cosa, una cernita delle stesse o individuare i passaggi di ciascuna opzione e optare per quella che ne ha meno, a parità di valore. Questo aiuta anche a ridurre ansia e stress che emergono di fronte alla varietà di opzioni, magari a fronte di un’urgenza decisionale, interrompendo la stasi provocata dalle numerose variabili e aiutandoci a procedere spediti nel cammino.
Il metodo Hoop di Gabriele Oettingen. Questo è un metodo che ci aiuta a compiere scelte attraverso la definizione di step graduali, dal desiderio alla realizzazione. Primo step: formulazione del desiderio. Secondo step: analizzare l’outcome. Terzo step: identificare gli ostacoli. Quarto step: il piano di realizzazione. Partendo dal risultato finale che vogliamo ottenere e non dal problema che vogliamo risolvere, disegnando gli step per conseguirlo, possiamo ribaltare la situazione di blocco e avviare una reale trasformazione.
Matrice di Eisenhower. Si tratta di un metodo classico per capire la priorità da dare a ciascuna decisione da prendere. Una matrice, divisa in quattro quadranti, in cui apporre le decisioni da prendere e dividerle tra quelle da “fare”, da “pianificare”, da “eliminare”, da “delegare”. Un metodo semplice e veloce che ci aiuta a focalizzare meglio ciò che conta davvero.
Numerosi sono gli strumenti che possono venirci in aiuto per supportare le nostre scelte, eppure in ogni decisione permane un elemento di incertezza e di imprevedibilità che non possiamo eludere. Sta a noi cercare di limare il più possibile questo fattore, da veri risk manager, e di interpretare con lucidità la situazione in cambiamento, da veri change manager. Importante però per prendere decisioni sensate e per allenare al meglio la propria saggezza è creare ambienti positivi in cui le scelte si fanno in gruppo, attraverso il dialogo, il confronto e la cooperazione, insieme agli stakeholder notevoli. In questo contesto si possono poi fare analisi accurate, magari da più punti di vista e grazie alla multidisciplinarietà del team, e generare opzioni che vanno poi verificate e messe alla prova da più persone. Una volta comprovate le opzioni, occorre procedere con la scelta definitiva: anche qui è compito del team giungere a una conclusione comune.
Prendere decisioni non è qualcosa di naturale. A livello di natura, infatti, noi generalmente reagiamo in maniera istintiva agli impulsi provenienti dal mondo esterno grazie a una serie di pattern di azioni che abbiamo introiettato a livello cerebrale grazie a millenni di evoluzione. Eppure nel mondo attuale, un mondo sempre più liquido, artificiale, umanizzato, non possiamo più affidarci ai meri istinti, ma occorre esercizio, pratica, allenamento per adattarsi al contesto mutato. La presa di decisioni è quindi una cultura, un bagaglio cognitivo a cui attingere per imparare a navigare nel caos della contemporaneità. Da sviluppare in solitaria, ma soprattutto insieme agli altri. Perché da soli si va più veloci, ma insieme si va più lontano. Anche nelle scelte.
Alessandro Melioli
BLUPEAK - IL BUSINESS È CULTURA