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Decision Making

BUSINESS TRANSFORMATION JOURNEY
DECISION MAKING 

Siamo immersi in un’epoca di cambiamenti tecnologici radicali, profondi e incisivi che vanno a toccare non solo il modo di produrre e di fare business, ma altresì le nostre relazioni, la nostra cultura, la nostra società fino addirittura la nostra persona. Imparare a gestire questa incertezza crescente, vedendo in essa un valore propositivo e non un mero impiccio alle nostre pianificazioni, è fondamentale per adattarsi in maniera saggia e sensata all’incedere dei tempi. D’altro canto tale trasformazione non va accolta con un ottimismo ingenuo, ritenendola neutrale e priva di reali conseguenze sulla nostra vita. Bisogna saperla governare. Per tale motivo, in ambito business, si parla proprio di Business Transformation, ossia di quell’arte composta da innumerevoli strumenti e discipline per gestire al meglio il cambiamento affinché la trasformazione sia positiva e generativa di valore per le nostre organizzazioni e le nostre persone.

Ogni reale trasformazione implica a monte delle scelte consapevoli, ossia delle decisioni prese generalmente dal top management in grado di orientare il flusso degli eventi nella direzione auspicata e desiderata per il bene dell’azienda. E per fare scelte consapevoli è richiesto un addestramento, un sapersi muovere in un contesto sempre più VUCA (Volatility, Uncertainty, Complexity, Ambiguity) in senso sempre più raffinato e competente, grazie anche a ciò che quel mondo – che si definisce Decision Making, ossia l’arte di prendere decisioni – ha da insegnarci. Partendo da una definizione standard, possiamo vedere il Decision Making come «the cognitive process resulting in the selection of a belief or a course of action among several alternative possibilities. Decision-making is the process of identifying and choosing alternatives based on the valuespreferences and beliefs of the decision-maker. Every decision-making process produces a final choice, which may or may not prompt action» [1].

In primis, per saper prendere decisioni positive e benefiche, occorrono due aspetti decisivi: l’esperienza e la competenza. Nessuna persona con poca esperienza è in grado di scegliere in vista del bene perché banalmente non ha vissuto che cosa è bene e che cosa è male. Non a caso, nelle posizioni apicali delle grandi organizzazioni, risiedono i senior manager, ossia coloro che con tanti anni di esperienza alle spalle sono in grado di offrire un orientamento. D’altro canto l’esperienza non basta, ma servono anche intelligenza, preparazione, competenza, professionalità, al punto in cui, generalmente, nelle posizioni di vertice si scelgono i più preparati accanto ai più esperti. Questa virtù di saper prendere le decisioni opportune si chiama saggezza, intesa come «disposizione pratica, accompagnata da ragione verace, intorno a ciò che è bene e ciò che è male» [2]. La saggezza ha un fine etico, ossia è indirizzata verso ciò che è bene. E di saggezza ne serve eccome in azienda per non fare scelte scriteriate, ma per condurre l’organizzazione verso lidi floridi! Quando si pensa alla saggezza, la prima immagine che ci viene in mente è un uomo anziano con la lunga barba bianca e una tranquillità d’animo fuori dal comune. Certamente la saggezza richiede tempo, come abbiamo visto poco sopra. Però, accanto alla maestra vita, è necessario sviluppare la competenza necessaria per sapere prendere decisioni, in quanto la saggezza si può e si deve allenare, attraverso numerosi strumenti e piccoli esercizi che, fatti con costanza, ci portano a ragionare in maniera verace, per dirla con Aristotele. Qui ne elenchiamo giusto tre per introdurre la questione.

Hick’s Law. «Il tempo che si impiega a prendere una decisione aumenta in maniera esponenziale in relazione all’aumentare delle opzioni di scelta che si hanno». Il tempo che impieghiamo per una scelta è direttamente proporzionale alle opzioni a disposizione. Molto banalmente, la Legge di Hick ci insegna che per prendere decisioni in breve tempo bisogna fare, per prima cosa, una cernita delle stesse o individuare i passaggi di ciascuna opzione e optare per quella che ne ha meno, a parità di valore. Questo aiuta anche a ridurre ansia e stress che emergono di fronte alla varietà di opzioni, magari a fronte di un’urgenza decisionale, interrompendo la stasi provocata dalle numerose variabili e aiutandoci a procedere spediti nel cammino.

Il metodo Hoop di Gabriele Oettingen. Questo è un metodo che ci aiuta a compiere scelte attraverso la definizione di step graduali, dal desiderio alla realizzazione. Primo step: formulazione del desiderio. Secondo step: analizzare l’outcome. Terzo step: identificare gli ostacoli. Quarto step: il piano di realizzazione. Partendo dal risultato finale che vogliamo ottenere e non dal problema che vogliamo risolvere, disegnando gli step per conseguirlo, possiamo ribaltare la situazione di blocco e avviare una reale trasformazione.

Matrice di Eisenhower. Si tratta di un metodo classico per capire la priorità da dare a ciascuna decisione da prendere. Una matrice, divisa in quattro quadranti, in cui apporre le decisioni da prendere e dividerle tra quelle da “fare”, da “pianificare”, da “eliminare”, da “delegare”. Un metodo semplice e veloce che ci aiuta a focalizzare meglio ciò che conta davvero.

Numerosi sono gli strumenti che possono venirci in aiuto per supportare le nostre scelte, eppure in ogni decisione permane un elemento di incertezza e di imprevedibilità che non possiamo eludere. Sta a noi cercare di limare il più possibile questo fattore, da veri risk manager, e di interpretare con lucidità la situazione in cambiamento, da veri change manager. Importante però per prendere decisioni sensate e per allenare al meglio la propria saggezza è creare ambienti positivi in cui le scelte si fanno in gruppo, attraverso il dialogo, il confronto e la cooperazione, insieme agli stakeholder notevoli. In questo contesto si possono poi fare analisi accurate, magari da più punti di vista e grazie alla multidisciplinarietà del team, e generare opzioni che vanno poi verificate e messe alla prova da più persone. Una volta comprovate le opzioni, occorre procedere con la scelta definitiva: anche qui è compito del team giungere a una conclusione comune.

Prendere decisioni non è qualcosa di naturale. A livello di natura, infatti, noi generalmente reagiamo in maniera istintiva agli impulsi provenienti dal mondo esterno grazie a una serie di pattern di azioni che abbiamo introiettato a livello cerebrale grazie a millenni di evoluzione. Eppure nel mondo attuale, un mondo sempre più liquido, artificiale, umanizzato, non possiamo più affidarci ai meri istinti, ma occorre esercizio, pratica, allenamento per adattarsi al contesto mutato. La presa di decisioni è quindi una cultura, un bagaglio cognitivo a cui attingere per imparare a navigare nel caos della contemporaneità. Da sviluppare in solitaria, ma soprattutto insieme agli altri. Perché da soli si va più veloci, ma insieme si va più lontano. Anche nelle scelte.

 

 

Alessandro Melioli


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Risk Thinking

BUSINESS TRANSFORMATION JOURNEY
RISK THINKING

Ogni trasformazione, ogni transizione, ogni modifica allo stato delle cose è sinonimo di incertezza. Il cambiamento infatti si attiva solo nel momento in cui si lascia una situazione certa, ma che crea disagio, per dare seguito a un desiderio di novità che possa schiudere orizzonti inesplorati, in grado di risolvere quel disagio e fondare un nuovo equilibrio che genera potenzialmente fiducia, crescita, gioia, progresso, profitto. Ogni cambiamento, come sappiamo, si può attivare attraverso un progetto, che di fatto è sinonimo di cambiamento perché è il mezzo attraverso il quale noi possiamo cambiare il mondo, introdurre un elemento innovativo in grado di migliorare (si spera!) l’ambiente e il contesto in cui viviamo, così come la vita della nostra organizzazione. Ogni progetto ci porta da uno stato A attuale a uno stato B desiderato. E ogni project manager che si rispetti sa che deve organizzare il lavoro inerente al progetto per conseguire un’intenzione, pianificando e strutturando tutte quelle azioni necessarie per conseguire l’obiettivo. Ma un vero project manager sa anche che un conto è la pianificazione, un conto è il reale risultato conseguito. Nel corso del progetto possono esserci modifiche, cambiamenti non preventivati, imprevisti, nuovi desideri, ecc., ragion per cui portare a termine un progetto spesso significa navigare nel mare della complessità, cercando di generare un valore che magari si discosta dal piano, ma che va comunque a intercettare il desiderio iniziale. E per fare questo sa che deve servirsi degli strumenti messi a disposizione dalla Business Transformation per imparare a gestire le incertezze, senza lasciarsi travolgere dalle stesse, ma sfruttandole come occasioni. Per questo, per introdurre un cambiamento attraverso un progetto bisogna sapere essere anche dei grandi risk manager.

Il rischio è definito come “incertezza che impatta”, uncertainty that matters. Ossia è un evento che ha una probabilità di accadere e che può sconvolgere il nostro progetto, quindi le nostre intenzioni di cambiamento. Banalmente possiamo pensare alla nostra intenzione di farci una gita in montagna il prossimo weekend per distrarci dalle fatiche quotidiane, per stare all’aria aperta, per fare movimento e rilassarsi. Se non controlliamo, tuttavia, alcuni elementi perturbatori per il nostro progetto, come magari il meteo, lo stato della nostra attrezzatura da montagna, il nostro stato fisico, ecc., rischiamo – appunto – che questi eventi impattino sulla buona riuscita dell’escursione, causando ulteriore stress, disagio e fatiche rispetto alle intenzioni che ci avevano mosso a intraprendere questa gita. Per tale motivo il rischio va trattato con precisione, pena il fallimento della nostra impresa. Dalla buona riuscita della gestione del rischio ne va anche la qualità del progetto stesso. Se prima della gita in montagna mi impegno per controllare il meteo e portare con me il necessario per far fronte agli imprevisti climatici, mi sincero delle condizioni delle attrezzature, correndo ai ripari se qualcosa non funziona, mi rendo conto di essere allenato e in forma per sostenere lo sforzo preventivato, starò pur certo che la gita si rivelerà una gita di qualità. Quindi un successo.

Non è facile gestire i rischi, in primis perché rappresentano quegli elementi perturbatori che potrebbero andare a inficiare i nostri desideri; in quanto esseri umani, facciamo fatica naturalmente a concentrarci su ciò che potrebbe limitare la nostra spinta espansiva. Chi di noi è così interessato a capire cosa potrebbe andare storto nel bel mezzo di un progetto che abbiamo voluto e che ci vogliamo godere? È più facile stare nella piacevolezza della sensazione presente, staccando il cervello, piuttosto che concentrarsi su che cosa può andare storto quando tutto è ok. Per questo la gestione dei rischi richiede soprattutto esercizio, cultura, saggezza e la grande capacità da allenare di individuare i pericoli. I rischi infatti sono le spine nei fianchi del progetto, in particolare quando questi si verificano. E per gestire al meglio i rischi – che non sono i pericoli, in quanto questi rappresentano gli oggetti del rischio, che di per sé è un evento con una probabilità e un impatto – ci sono tanti strumenti e tanti modi tratti dal mondo delle imprese, nello specifico tratti da quelle che si occupano di qualità.

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Senza entrare troppo nel dettaglio, possiamo dire che prima di tutto, per gestire i rischi, occorre riconoscere i pericoli e comprendere quali rischi portano con sé. Ossia individuarli. Già di per sé questa è un’operazione importante: essere consapevoli di ciò che può andare storto è il primo passo per non commettere errori. Una volta identificati e segnalati i pericoli, occorre trattarli a livello qualitativo e quantitativo. A livello qualitativo, lo strumento per eccellenza per gestire i rischi è la matrice PxI (Probabilità x Impatto), nella quale a ogni rischio identificato è assegnato un valore, frutto del prodotto tra la probabilità (stimata) e l’impatto (stimato), e inserito all’interno di una griglia, a partire dalla quale si può comprendere visivamente ciò che è maggiormente rischioso. Lo step successivo riguarda invece l’analisi quantitativa, ossia l’analisi di ogni rischio basata su dati, numeri e informazioni in senso statistico-matematico. Una volta chiarificato lo scenario generale intorno ai rischi del nostro progetto, occorre pianificare le risposte per mitigare gli effetti o ridurre la probabilità dell’evento rischioso, attraverso contro-misure per ciascun rischio che vanno dall’accettazione, al trasferimento della portata dell’impatto, fino all’evitamento e alla riduzione.

Le incertezze fanno parte della vita e sono decisive per la buona riuscita di ogni trasformazione, a maggior ragione se ad alto tasso di complessità. Sta a noi decidere se affrontarle con competenza, trasformando i rischi in opportunità e stimolando il nostro risk appetite, oppure se fermarci sul più bello, optando per la sicurezza rispetto al successo, o peggio ancora non farci caso e dover poi risolvere problemi che richiedono un investimento ben maggiore rispetto alla mera analisi dei rischi. E non serve essere risk manager per saperlo. Già le nonne ce lo dicevano: meglio prevenire che curare!

 

Alessandro Melioli


BLUPEAK - IL BUSINESS È CULTURA

Change Management

BUSINESS TRANSFORMATION JOURNEY
CHANGE MANAGEMENT 

Come abbiamo visto nei precedenti articoli, il tema del cambiamento e la sua relativa gestione sono centrali all’interno dei programmi di Business Transformation. Governare una trasformazione del proprio business significa appunto sapere guidare un cambiamento profondo, radicale, essenziale, in grado di rilanciare la propria organizzazione, o comunque di imprimere una direzione differente al senso delle proprie attività core. Avere i rudimenti su come avvengono i cambiamenti e sulla loro gestione è quindi necessario per approcciarsi con competenza alla questione. Il nostro itinerario nelle discipline della galassia Business Transformation non poteva perciò non iniziare proprio da qui, dal Change Management, ossia l’arte di gestire i cambiamenti.

Partendo da una prima definizione standard che troviamo in rete, possiamo dire che «con il termine inglese Change Management si intende un approccio strutturato al cambiamento negli individui, nei gruppi, nelle organizzazioni e nelle società che rende possibile (e/o pilota) la transizione da un assetto corrente a un futuro assetto desiderato. Il change management, così come viene comunemente inteso, fornisce strumenti e processi per riconoscere e comprendere il cambiamento e gestire l'impatto umano di una transizione».

Come si evince da questa affermazione, il cambiamento ha a che fare innanzitutto con una transizione tra uno stato A a uno stato B. Esso è mosso da un desiderio che spesso sopraggiunge come reazione a una situazione di dis-comfort, ossia come risposta istintiva che ci sprona a modificare l’assetto di un contesto all’interno del quale non riusciamo più a perseguire con coerenza ed efficacia i nostri obiettivi attraverso i processi e le operazioni che avevamo messo in campo fino ad allora. Possono essere sconvolgimenti di mercato, eventi esogeni, errori di valutazione, nuovi obiettivi di business. Una volta preso coscienza di questo malessere, ci rendiamo conto che l’unica cosa da fare per sopravvivere, per rilanciarsi oppure per voltare pagina è cambiare. Il change management emerge a questo punto, come bagaglio di competenze ed esperienze da utilizzare per guidare al meglio queste fasi d’incertezza.  

Esistono numerosi modelli scientifici che possiamo usare per comprendere meglio la situazione e le mosse da mettere in campo per affrontare la transizione. Tutti sono accomunati dall’idea per cui un cambiamento, affinché possa avvenire, deve riuscire a vincere la resistenza iniziale, data dalla cristallizzazione di precedenti processi di cambiamenti che sono diventati abitudini. Spesso questa fase è quella foriera di conflitti, perché, come ci insegna Niccolò Macchiavelli nel Principe:

«E debbasi considerare come non è cosa più difficile a trattare, né più dubia a riuscire, né più pericolosa a maneggiare, che farsi a capo ad introdurre nuovi ordini. Perché lo introduttore ha per nimici tutti quelli che delli ordini vecchi fanno bene, et ha tepidi defensori tutti quelli che delli ordini nuovi farebbono bene... ».

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Una volta però superata questa prima fase, quando il cambiamento è realtà, inizia la vera e propria navigazione a vista in mare aperto, ossia quell’interregno in cui il precedente assetto è alle spalle e ormai lontano, ma quello nuovo fa fatica a manifestarsi all’orizzonte. Ed è proprio qui che si vedono le doti del grande leader, di colui che riesce a tenere il timone dritto verso il nuovo obiettivo, mosso da visione, consapevolezza e pianificazione. Il fine è quello di condurre tutto l’equipaggio, ossia il proprio team e la propria organizzazione, verso un nuovo lido, che a sua volta diventerà col tempo abitudine prima di un nuovo cambiamento.

In particolare, vorremmo segnalare due elementi decisivi nel cambiamento. Il primo riguardo al fatto che ogni cambiamento è sinonimo di progetto. Il progetto significa letteralmente “gettare innanzi” (pro-iacio), ossia è slancio verso un avvenire che ancora non si è manifestato e che ha bisogno di emergere. Il progetto introduce una novità, motivo per cui si dice che il mondo, dopo qualsiasi progetto, è diverso da come lo avevamo lasciato. Da qui la grande missione affidata al project manager, ossia quella di essere change maker, di rendere realtà i desideri attraverso arte e disciplina, di lasciare un segno nel mondo affinché chi viene dopo di noi possa trovare un contesto migliore rispetto a come lo avevamo trovato. Capiamo quindi che ogni change manager sarebbe bene che fosse anche un ottimo project manager, e viceversa. Il secondo fattore da tenere in considerazione riguarda invece la change readiness, ossia la prontezza al cambiamento. L’analisi di questa è decisiva per capire se una transizione ha da farsi oppure no, cercando di indagare le reali motivazioni e i reali obiettivi che guidano tale spinta trasformativa e se l’ambiente, l’organizzazione e le persone sono effettivamente pronte per fare il salto. Tale studio, preliminare all’avvio del progetto di cambiamento, risulta decisivo per evitare conflitti, insuccessi, crisi e per far emergere tutto il potenziale insito nel movimento trasformativo stesso. La change readiness inoltre è importante per scoprire se le nostre organizzazioni hanno quella capacità di rispondere con agilità ed efficacia ai cambiamenti, capacità decisiva in un’epoca, come quella che stiamo vivendo, dove la percezione di ritrovarsi in balia di movimenti centrifughi crescenti è molto alta.

E voi, applicate modelli di change management in azienda? Il cambiamento vi spaventa o vi sfida? E come gestite l’incertezza derivante dalle transizioni? Fatecelo sapere!

  

Alessandro Melioli


BLUPEAK - IL BUSINESS È CULTURA

Cosa è la Business Transformation?

CHE COSA È LA BUSINESS TRANSFORMATION?

Noi scendiamo e non scendiamo nello stesso fiume,
noi stessi siamo e non siamo.

[Eraclito, Sulla Natura, Frammento 46a]

Nulla vi è di più stabile del cambiamento. Come ci insegnano i filosofi antichi, in particolare Eraclito di Efeso, padre del celebre motto panta rei (tutto scorre), una delle principali certezze che contraddistingue le nostre vite è che il mutamento è continuo. Noi siamo costantemente posti in un flusso dinamico, in un movimento perenne che ci fa essere e non essere contemporaneamente, come appunto le acque di un fiume che scorrono in maniera incessante. Noi siamo immersi nel cambiamento. E proprio la relazione a questo cambiamento definisce la nostra identità, la quale è un continuo adeguamento alle variazioni che la realtà ci impone, un equilibrio in perenne transizione che è tale in quanto sottoposto a un moto mai pago, come la stabilità del ciclista data dalla pedalata perpetua. Noi cresciamo e ci individuiamo proprio nel momento in cui impariamo ad accogliere il cambiamento e a farlo nostro in maniera opportuna, come il fiume che diventa tale quando il fluire delle acque va a costruire il suo letto attraverso processi che diventano abitudini. Pare filosofia astratta, in realtà è questione molto concreta. Quante volte infatti abbiamo sperimentato anche noi questa sensazione nelle nostre aziende, ossia questa esigenza di rifocalizzarci, di ridefinirci, di riconoscerci alla luce sia di sconvolgimenti esogeni (per esempio mutamenti del mercato o eventi disruptive, come una pandemia o una rivoluzione tecnologica) sia interni (nuovi obiettivi di business, ristrutturazione nell’organico, ecc.)?

Imparare a gestire il cambiamento è vitale per la salute e la prosperità delle nostre organizzazioni, a maggior ragione in un’epoca nella quale il cambiamento pare essersi fatto sempre più impetuoso e incessante, come acque di un fiume in piena. Da qui nasce l’esigenza di dare un senso complessivo e integrato a una serie di discipline in grado di aiutarci a gestire e governare questo cambiamento con consapevolezza e lucidità, affinché esso non ci travolga ma, anzi, possa rappresentare una potenza in grado di sprigionare nuove energie, forze, quindi anche prospettive di sviluppo e di profitto per le nostre organizzazioni. Questo senso complessivo è racchiuso nella dicitura Business Transformation.  

Come emerge dall’espressione stessa, la Business Transformation si riferisce alla trasformazione nel contesto del business. Per business qui intendiamo ogni tipo di attività economica, posto che con economia ci riferiamo a tutta quella serie di azioni umane necessarie per amministrare beni e risorse in maniera organizzata ed efficace col fine di soddisfare desideri, bisogni, esigenze affinché le persone e le comunità possano fiorire. La trasformazione invece rappresenta un tipo di cambiamento radicale, cambiamento profondo di forma, processo di emersione di nuova identità, definizione essenziale e strutturale di ciò che si è e si fa, in dialogo sempre con il nostro contesto di riferimento, e non mera variazione superficiale. Parlare di Business Transformation, e come abbiamo visto nel precedente articolo sappiamo anche il perché è importante farlo, implica perciò la conoscenza e l’applicazione di una serie di strumenti, tecniche, arti, esperienze e riflessioni per governare ogni mutamento inerente a un contesto organizzativo di matrice economica affinché tale mutamento non travolga l’organizzazione stessa, ma diventi un volano per evolvere e prosperare.

Solo negli ultimi anni si è iniziato a parlare con insistenza di Business Transformation, affiancando tale espressione a quella ormai già nota, se non addirittura inflazionata a livello di senso comune, di digital transfomation. Il concetto di Business Transformation infatti nasce dall’incontro delle discipline IT, quindi è figlia della rivoluzione digitale, con quelle di management legate alla gestione del cambiamento. Sebbene non vi sia ancora una definizione specifica intorno a tale disciplina, o sarebbe meglio dire “etichetta” di discipline necessarie a conseguire la trasformazione, a causa della complessità della questione in gioco e della novità ancora espressa da tale dicitura, possiamo tuttavia provare a offrire una prima definizione di Business Transformation come "the process of fundamentally changing the systems, processes, people and technology across a whole business or business unit. As such, a business transformation project is likely to include any number of change management projects, each focused on an individual process, system, technology, team or department”. Come leggiamo da questa definizione, la Business Transformation non è quindi un processo di mero re-engeneering, il quale si focalizza soltanto magari sull’efficienza dei sistemi, ma va a modificare il senso stesso delle nostre azioni, se non addirittura del paradigma di tutto quanto il nostro business. Essa inoltre non è soltanto una reazione a una pressione esogena che ci costringe a cambiare, come avviene in risposta ai cambiamenti imposti dal mercato, ma attiene complessivamente a numerose motivazioni differenti tra loro – quindi anche motivazioni personali – che, insieme, provocano disagio e problemi al processo di fioritura delle nostre imprese, costringendoci a rivedere l’organizzazione generale del nostro business.

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La Business Transformation comporta delle svolte radicali nel modo di gestire il nostro business di riferimento e, proprio perché radicale, implica una volontà decisa di attuazione da parte del top management, che si assume l’accountability, affinché poi possa essere messa in piedi da un manager in grado di assumersi la responsability di realizzare concretamente il progetto di cambiamento, portando a terra i numerosi bisogni emersi e lavorando a livello operativo nella ridefinizione dei processi. Per tale motivo la Business Transformation è importante che diventi una cultura aziendale e organizzativa trasversale a tutta l’organizzazione, un mindset condiviso che coinvolge tutto l’organismo aziendale nella ridefinizione di ciò che si è.

Entrando nello specifico, ci rendiamo quindi conto che le discipline che costellano la galassia della Business Transformation sono numerose e varie. L’importanza della Business Transformation non risiede tanto nel suo essere un contenitore univoco e specialistico, ma nel suo essere il risultato del confronto e dal dialogo di discipline differenti tra loro, ciascuna delle quali contribuisce alla creazione di processi di trasformazione. Pensiamo a discipline come il change management, il risk management, il project management, la business analysis, fino ad arrivare all’agile e all’insieme delle power skill, ossia tutte quelle competenze di base e trasversali, fondamentali principalmente nelle relazioni con le altre persone, necessarie per garantire un successo integrale alle nostre organizzazioni, quali comunicazione, leadership, team building, creatività, pensiero laterale, ecc. La Business Transformation è una cassetta degli attrezzi di natura cognitiva che possiamo utilizzare all’occorrenza e dalla quale possiamo attingere strumenti particolari per plasmare le organizzazioni in senso organico e integrato, a partire dalla singola problematica, per generare un valore completo e compiuto. 

Il nostro Business Transformation Journey parte proprio da qui, ossia dall’esplorazione di ciascuna delle discipline sopracitate per capire come tali discipline possano tornare utili ai fini del nostro brulicare quotidiano in aziende, imprese e organizzazioni, consci che il valore del percorso, come in ogni organismo complesso è sempre la risultante di una cooperazione tra parti differenti armonizzate all’unisono per interpretare la realtà nel miglior modo possibile.   

 

Per saperne di più:

·      https://www.changeassociates.com/blog/post/what-is-business-transformation

·      https://robwherrett.com/explaining-business-transformation/

 

Alessandro Melioli


BLUPEAK - IL BUSINESS È CULTURA

Business Transformation Importance

PERCHÉ LA BT È IMPORTANTE PER LE NOSTRE ORGANIZZAZIONI

Per parlare di Business Transformation occorre partire da un’immagine paradigmatica, espressa perfettamente da questo celebre motto: la potenza è nulla senza il controllo. Prima di essere lo slogan di una famosa campagna pubblicitaria di un noto brand di pneumatici, questa affermazione è una constatazione sensata e ragionevole che si può applicare a ogni aspetto della nostra vita, in primis alla vita delle nostre organizzazioni. Le forze, le energie, le potenze che noi investiamo nelle nostre attività, se non governate, guidate, orientate con saggezza, rischiano di farci finire fuori strada e di mandare in frantumi il nostro business. Serve disciplina, esercizio, cultura, riflessione per governare la potenza. Come mai allora nella gestione delle aziende capita così spesso che ci concentriamo unicamente sul potenziamento fine a sé stesso, investendo sull’empowerment a tutti i costi per conseguire obiettivi (spesso unicamente di profitto) sempre più alti, senza considerare anche i copertoni, i freni, il telaio e tutta quanta la struttura motrice che ci permette di intraprendere cammini di crescita sostenibili e di affrontare reali trasformazioni durature senza incorrere in incidenti? E come mai in momenti di crisi, di transizione o di stravolgimenti, invece che investire sulla formazione, sul miglioramento integrato e complessivo di tutto l’ecosistema aziendale, su percorsi che possano aumentare la consapevolezza propria e dei nostri collaboratori sulle dinamiche interne e del mercato, lavoriamo invece ancor di più a testa bassa, pensando di uscire dalla situazione nella quale ci ritroviamo semplicemente facendo quello che abbiamo sempre fatto, ma con un investimento di energie ulteriore?

L’epoca nella quale stiamo vivendo è ormai ritenuta da tutti, a livello di senso comune, come l’epoca della digital transformation, dell’industry 4.0, della rivoluzione tech. Essere al passo coi tempi e coi trend di mercato significa perciò sposare questo mindset, che da questione riservata a poche realtà innovative è diventata ormai la cifra dell’attualità. Il digitale sta permeando le nostre esistenze, comportando una grossa spaccatura – disruptive – rispetto alle epoche precedenti di stampo analogiche, al punto che si parla sempre di più di onlife come dimensione specifica dell’uomo e delle organizzazioni contemporanee. Il digitale è l’orizzonte nel quale appunto ci ritroviamo a lavorare e a produrre, l’habitat di ogni impresa umana nel XXI secolo. È la nostra realtà. E sapersi adattare a questi cambiamenti significa sposare la trasformazione digitale, accogliendo le novità che la tecnologia ci sta offrendo come opportunità di crescita per noi e le nostre organizzazioni di qualsiasi ambito e competenza. Ma basta il digitale?

Come la potenza non basta senza il controllo, così la trasformazione digitale rischia di diventare un baratro se non viene compresa, gestita e governata. La tecnologia infatti ci mette a disposizione strumenti e modalità di lavoro di una potenza straordinaria rispetto all’epoca analogica, comportando grossi rischi che, se non trattati, possono diventare seri problemi. Basti pensare alle enormi possibilità che si schiudono grazie alla tecnica, come per esempio le meraviglie dell’intelligenza artificiale, dell’automazione, della robotizzazione, ecc. Sappiamo bene però che da grandi poteri derivano anche grandi responsabilità, al punto che le sfide che ci pongono tali innovazioni vanno a investire ambiti profondamente differenti al contesto meramente tecnico stimolando delle riflessioni sistemiche tra ambiti come l’etica, la comunicazione, la psicologia, la sociologia, l’economia.

Per tale motivo riteniamo che, accanto alla digital transformation, occorra entrare in un’epoca che ponga al centro del discorso sul futuro delle organizzazioni anche la Business Transformation: un insieme di conoscenze tratte dal mondo manageriale – ossia di pratiche, culture, esperienze, approcci, discipline – in grado di offrire strumenti appropriati e punti di vista complessi per gestire la trasformazione digitale e guidarla con sapienza, in ottica integrata e organica, ponendo la questione del senso di ciò che si fa accanto alle technicality necessarie per conseguire gli obiettivi che ci siamo prefissati nelle nostre aziende. Ogni trasformazione che si rispetti, infatti, e sicuramente quella digitale lo è, non va a modificare unicamente il modo con cui si fanno le cose, ma altresì va a colpire l’identità stessa di ciò che si fa. Non è semplicemente un’evoluzione, ma soprattutto un cambio di paradigma. Basti pensare a come il digitale stia sconvolgendo le nostre vite e i nostri lavori, inventando nuove professioni e abbattendone di vecchie. Esserne consapevoli e avere a disposizione strumenti in grado di farci navigare con cognizione di causa nel cambiamento è il primo passo per far emergere un valore all’interno della trasformazione e procedere nel cammino di realizzazione di sé e del proprio business.

Il viaggio a tappe che ci stiamo apprestando a realizzare insieme sarà proprio dentro a questo ecosistema che chiamiamo Business Transformation, un contenitore che racchiude in sé discipline differenti ma in dialogo tra loro, per offrire competenze e professionalità da conoscere e applicare nelle nostre organizzazioni, col fine di non farsi travolgere dalla potenza, ma di imparare a guidarla. Vedremo quindi, nei prossimi articoli, in cosa nello specifico consiste questa Business Transformation e come può esserci utile.

 

Alessandro Melioli


BLUPEAK - IL BUSINESS È CULTURA

Business Transformation Journey

BUSINESS TRANSFORMATION JOURNEY 2021
Strumenti per un Cambiamento di Qualità


Un viaggio in 5 tappe dentro al mondo della Business Transformation. Dal change management alla leadership trasformativa, passando per la business analysis, il risk thinking fino al decision making. Tante discipline diverse tra loro ma accomunate dal filo rosso della gestione di qualità del cambiamento. Per non ricorrere le trasformazioni, ma per guidarle con professionalità e competenza.

I tempi che stiamo attraversando sono caratterizzati da continui e cruciali cambiamenti, che impongono alle aziende lo sviluppo di una propria forma di sostenibilità e agilità organizzativa. La rivoluzione digitale – e la sua principale declinazione manufacturing racchiusa nel paradigma Industry 4.0 – non solo rappresenta un processo in corso da cui non ci si può esimere, ma è il principale volano di innovazione e rilancio nella congiuntura attuale. Eppure la tecnologia da sola non basta: la trasformazione, affinché sia sinonimo di valore, necessita di una specifica cultura manageriale, di un pensiero in grado di comprendere la complessità e di un linguaggio adeguato all’incedere dei tempi. Tutto questo lo si ritrova nella Business Transformation, vero patrimonio per persone e processi nell’azienda di qualità. 

Come BluPeak Consulting siamo dunque lieti di proporvi un ciclo di 5 workshop che andrà ad esplorare proprio la galassia della Business Transformation, attraverso una serie di incontri, incentrati ciascuno su una disciplina differente ma in dialogo con le altre. Il fine è quello di offrire le conoscenze base per maturare una prima necessaria consapevolezza intorno alle trasformazioni in atto nel mondo del business e alle modalità migliori per affrontarle.


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1. Change Management

Disegnare, attuare e consolidare la trasformazione (digitale e non)

Sabato 08 maggio 2021

Scopri di più..

Webinar gratuito di anteprima in collaborazione con Blulink (27 aprile 2021 alle 17.00),
clicca qui.


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2. Risk Thinking

Pensare l’incertezza a livello sistemico

Sabato 29 maggio 2021

Scopri di più..

Webinar gratuito di anteprima in collaborazione con Blulink (25 maggio 2021 alle 17.00),
clicca qui.


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3. Decision Making

La cultura delle decisioni: aspetti cognitivi e metodologici

Sabato 19 giugno 2021

Scopri di più..

Webinar gratuito di anteprima in collaborazione con Blulink (10 giugno 2021 alle 17.00),
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4. Business Analysis

La comprensione profonda dei bisogni degli stakeholder

Sabato 11 settembre 2021

Scopri di più..

Webinar gratuito di anteprima in collaborazione con Blulink (02 settembre 2021 alle 17.00),
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5. Transformation Leadership

La motivazione e la guida del team nel contesto del cambiamento

Sabato 16 ottobre 2021

Scopri di più..

Webinar gratuito di anteprima in collaborazione con Blulink (07 ottobre 2021 alle 17.00),
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Come: un workshop online fortemente interattivo ed esperienziale, che integra un distillato delle più accreditate teorie e best practides con la condivisione e l’elaborazione delle proprie esperienze.

Per chi: imprenditori, manager, project manager, innovation manager, business analyst, attori del cambiamento, chiunque sia interessato a riflettere e sviluppare le proprie competenze trasversali.


Prezzo: € 150,00 + IVA (€ 120,00 + IVA quota riservata ai partner di BluPeak)

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Tutti i prezzi sono da intendersi IVA esclusa.

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